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cultura dell'immagine e della parola

Più che un’intervista una chiacchierata

Niccolò AmmanitiChiamo Niccolò. E’ in ritiro in una località segreta per scrivere il suo nuovo romanzo.
Sono le 14. E’ il momento giusto per fargli un’ intervistina sul film di Salvatores, nelle sale a marzo, tratto dal suo bestseller “Io non ho paura”.
E’ il momento giusto perché si è appena svegliato, credo.
Incomincio tentennando a fare una domanda, ma lui già ride e cerca di semplificare le mie assurde questioni quasi al limite di un esistenzialismo allucinogeno da “Sottovoce”. Premetto che ci conosciamo da un po’ e certe risposte sono… diciamo “confidenziali”? sì, diciamo confidenziali, per questo motivo.

Quello che ho ottenuto è più o meno questo:

Io: “Senti, io inizierei chiedendoti una cosa semplice, semplice. Ci sono molti libri, specie in questi ultimi anni, che sembrano più dei film che dei romanzi, e, allo stesso modo, trovi lavori cinematografici molto letterari, non so, “Brucio nel vento” ad esempio. Quindi, qual è, dal tuo punto di vista, se c’è, il confine tra letteratura e cinema? E’ tutta metaletteratura? E’ tutto metacinema?”

Niccolò: ”Ma come cazzo parli? Stare a Torino ti fa male secondo me. Ma poi, no, non è vero, non sono d’accordo su ciò che dici.”

Io: ”E King, scusa? Non sono delle sceneggiature i suoi romanzi?”

Niccolò: ” No! Sono ottimi spunti per sceneggiature, ma la grandezza del libro, la grandezza di King, rispetto a un film, è quella di lasciarti un mondo infinito di possibilità per immaginare come succeda una cosa. Il film, invece, non potrà mai essere letterario, per quanto intellettuale sia, per quanto il soggetto sia tratto da un libro, perché comunque il regista ti impone la sua visione, non lascia grande spazio alla tua fantasia. No, secondo me, i film e i libri c’entrano poco, nel senso che è molto netta la separazione tra questi due mondi. Ma facciamo così: ti faccio io le domande e tu mi rispondi?”

Io: ”No, no tranquillo. La prossima domanda è figa. Senti qui: avendo avuto la possibilità di visionare alcuni trailer in anteprima, ti sembra che il film rispecchi molto l’idea originale del tuo “Io non ho paura”, cioè, quanto c’è di quelle emozioni così forti, di quei colori quasi magici della tua narrazione nel film? E’ venuto come ti aspettavi o come speravi?”

Niccolò: ”Chi ti scrive le domande scusa? La Fra? No, non credo sia lei. Questa è opera tua.”

Io: ”Guarda, le ho scritte stamattina in treno, mi sono anche impegnato, ero stanco e c’avevo sonno. Cerca di capirmi!”

Niccolò: “Vabbè… comunque, a conti fatti la tua domanda è: ti è piaciuto il film? Quanto c’è di tuo? Esatto?”

Io: ”Eh? Sì, sì…”

Niccolò: ”Ecco, diciamo che la scelta dei bambini, un esempio su tutti, è stata molto azzeccata, me li vedevo proprio così, e la fotografia è splendida, l’atmosfera che crea è molto soffocante, come nel libro. La sceneggiatura l’ho curata io, e non è stato troppo difficile essere coerenti con qualcosa scritto da me.”

Io: ”Sì… Altra cosa: tu che sei scrittore, come vedi le storie che vengono narrate nei film italiani, se ci sono delle storie? E poi, è fondamentale avere una storia?”

Niccolò: ”Sì, è fondamentale, almeno per ciò che concerne il mio modo di vedere e fare un film. Il dramma italiano è la mancanza di un gruppo di sceneggiatori di genere, intendo horror, thriller, scrittori di cinema forti, un gruppo che viva di per sé, che non sia sempre un piccolo mezzo, uno dei tanti aiuti del regista. Gli sceneggiatori sembrano solo accessori del regista e il film ne risente.
E lui il vero autore dei film italiani, il regista, e questo non è corretto perché poi vengono fuori film senza storie con grandi giochi di stile, ma assolutamente inutili, se poi vai a vedere, funzionali solo alla valorizzazione del regista più che della pellicola.”

Io: ” Hai ricevuto migliaia di domande e ti hanno fatto migliaia di interviste che riguardassero anche solo in minima parte “Io non ho paura”.”

Niccolò: ”Infatti ne ho la nausea e le palle piene.”

Io: ”Immagino. Dimmi, quindi, una domanda che non ti hanno mai fatto e che tu alcune volte pensando alle stronzate che ti chiedono dici: ‘Ma perché non mi fanno questa domanda qua?’“

Niccolò: ”Una domanda che non mi hanno mai fatto, che però mi piacerebbe se mi fosse posta è: Quanto influisce la scelta delle locations nel rapporto che poi tu autore dovrai o vorrai eventualmente creare col film?.”

Io: ”Sì… allora volevo chiederti: quanto influisce la scelta delle locations nel rapporto che poi tu autore dovrai o vorrai eventualmente creare col film?”

Niccolò: “Oh! finalmente una bella domanda. Per me influisce molto, visto che, ad esempio, “L’ultimo Capodanno” è stato girato a Roma, a Cinecittà, io sono di Roma, e tutti i giorni potevo andare sul set, seguire le riprese, l’evoluzione del lavoro. Ora, con “Io non ho paura”, le cose si sono complicate, il set era a 400 km da Roma, tra la Puglia e la Basilicata, e ci sono potuto andare solo tre o quattro volte. Non si riesce a stabilire un legame col film, il rapporto con questo tuo figliastro è più freddo, ti devi fidare molto del regista, non puoi stare lì a controllare, a seguire tutto il processo di produzione, devi lasciarlo crescere da solo. In sintesi, perdi parecchio di quella che è la trasformazione concreta libro-film e un po’ ti spiace.”

Io: “Ultima domanda: in ambito cinematografico, stai lavorando a qualcosa o uscirà qualcosa di tuo prossimamente?”

Niccolò: ”Ho finito da poco la sceneggiatura dell’ultimo film di Alex Infascelli, “Il siero della vanità” e sto aspettando anch’io di sapere quando si potrà vederlo nelle sale. Sono molto ansioso, ma Alex lavora bene. A me sembra proprio una buona storia quella che ho scritto e credo che possa uscirci anche una buona pellicola.”

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