Le tentazioni del Capitano Pantaleòn protettore per obbedienza
Preceduto dal notevole successo riscosso in Sud America arriva nelle sale europee l’undicesimo film di Francisco J. Lombardi (il primo distribuito in Italia); “Pantaleòn e le visitatrici”, tratto dall’omonimo romanzo di Mario Vargas Llosa, pubblicato nel 1973. Sullo schermo, mentre ancora scorrono i titoli di testa, un abile “carrello” segue un soldato tra gli scaffali degli asettici corridoi della burocrazia militare, al termine del percorso consegnerà a un superiore l’incartamento riguardante il Capitano Pantaleòn Pantoya. Il Capitano (Salvador Del Solar); infatti, è considerato il migliore soldato dai servizi segreti: è scrupoloso nello studio e completamente assorto dal dovere militare, è sposato con una brava donna di casa e come unico svago pratica lo sport; i vertici militari, preoccupati per i continui stupri perpetrati dai soldati, intendono quindi affidargli una missione estremamente particolare. L’incarico di istituire un servizio ambulante di “visitatrici” per le truppe stanziate nella foresta amazzonica non rientra propriamente nelle categorie morali e nelle aspirazioni professionali di Pantaleòn che però, come sempre, eseguirà gli ordini con disciplina. Installata la base a Iquitos, in breve tempo, con piglio da moderno manager dal pugno di ferro, riuscirà a creare un’organizzazione perfetta che diventerà l’organismo più efficiente di tutto l’esercito. Il Capitano si documenterà ampliando la propria biblioteca da Freud ai testi di economia aziendale e il modello adottato gli frutterà l’onorevole appellativo di Don Panta e contribuirà a creare tra la popolazione il mito di Pantilandia. Le fasi della preparazione e sperimentazione del “bordello itinerante” sono le più riuscite e divertenti del film, presentato con successo all’ultimo Festival di Berlino nella sezione Panorama. L’idea, ad esempio, che la distribuzione di riviste pornografiche ai soldati in “attesa” produca l’effetto scientifico di abbassare il tempo medio della “prestazione” con relativo incremento della media mensile degli amplessi o quella di riempire le pareti del bordello, dove le ragazze lavorano in rigorosa divisa rosso-verde, di scritte insospettabili come “Il lavoro nobilita l’uomo” o “Vietato fumare” sono solo alcune delle originali applicazioni al “servizio visitatrici” dei moderni metodi di psicologia del lavoro. Stilisticamente colpisce la scelta di utilizzare per le riprese una luce dai toni caldi in Technicolor anni 60’; arancio, ocra, giallo e amaranto si alternano e si sovrappongono sulla Pellicola 35 mm rendendo ogni inquadratura come una sorta di palcoscenico ideale per una storia tipicamente sudamericana di romanticismo, amore e morte. Con il passare del tempo, però, la visione, non supportata da una regia troppo statica, diventa monotona e sembra di assistere a sbiadite immagini di repertorio tratte dai vecchi cinegiornali. La fotografia di Teodoro Delgado, patinata e sovraesposta, cita gli esprimenti con la luce e il colore operati da alcuni cineasti all’inizio degli anni 70’. Resta indelebile il ricordo dell’entrata in scena nella balera illuminata di rosso di Olga detta la Colombiana (Angie Cepeda, nota attrice di telenovelas); che raccoglie in sé tutte le caratteristiche che l’immaginario maschile può desiderare: una sensualità selvaggia e ammiccante, curve sinuose, movenze feline, sguardo languido e intenso, bisogno (apparente) di affetto e protezione e sopratutto …. una pessima reputazione. Nelle stesse terre dove il visionario Brian di “Fitzcarraldo” (Werner Herzog, 1981) sognava di costruire un teatro dell’Opera con folli trasporti in battello attraverso la foresta, Don Panta realizza, più pragmaticamente, una nave-convoglio in grado di soddisfare “il bisogno psico-biologico per la pienezza virile” delle truppe. Lo spunto narrativo, però, si esaurisce presto, la trama procede lungo binari prevedibili, i dialoghi si fanno ripetitivi, la debordante sensualità della Cepeda e le continue immagini di splendidi tramonti nella foresta non sono sufficienti a compensare la stasi narrativa; la mancanza di ritmo si percepisce con crescente fastidio e la continua contaminazione tra commedia e dramma contribuisce a far svanire irreversibilmente il coinvolgimento dello spettatore. I personaggi, anche quelli più riusciti, tra cui spiccano la maitresse Chuchupe (Pilar Bardem, sorella del grande regista spagnolo) e la mogliettina di Don Panta, Pochina (Monica Sanchez); sono monodimensionali, senza approfondimenti e privi di spessore psicologico. Salvador Del Solar, nonostante il premio al Festival di Cartagena e pur perfetto nella prima parte del film, non riesce, se non con l’ausilio di improbabili lacrimoni, a esprimere la progressiva trasformazione di Pantaleòn in Don Panta che la regia di Lombardi immortala nelle sequenze dei sempre più numerosi “test di qualità” su Olga, della prima sigaretta e del ballo erotico del Capitano avvinghiato alla Colombiana in minigonna mozzafiato. Vargas Llosa voleva inizialmente scrivere un romanzo serio, poi ha cambiato idea accorgendosi della capacità liberatoria dell’umorismo e del gioco in letteratura; nel film, però, l’uso della satira nei confronti della burocrazia e dei vertici militari, con espliciti riferimenti a “M.A.S.H” (Robert Altman, 1970); rimane irrisolto senza colpire a fondo. I temi del libro (disponibile nell’edizione “Tascabili” Einaudi) si disperdono stretti nella morsa tra denuncia e satira di costume, la trasgressione e l’irriverenza dello scrittore contro un “mondo totalmente amministrato” non è sviluppata e il sottotestodel romanzo resta inesplorato. Già nel 1975 il regista di Tacna si era confrontato con un testo di Llosa, “La città e i cani”, ma anche in quella occasione non riuscì a tradurre in immagini definitive la brutalità dei personaggi e il loro valore simbolico, limitandosi a una trascrizione sullo schermo, seppur di mestiere, del romanzo. In occasione della giornata mondiale per la lotta contro l’Aids la Teodora Film, distributrice della pellicola in Italia ha devoluto parte dell’incasso di una giornata di proiezione alla L.I.L.A. e ad altre associazioni impegnate nella lotta contro la malattia. Avremmo apprezzato se nel film, considerando l’attinenza dell’argomento e la sua rilevanza sociale, si fosse almeno accennato a questo tema.
A cura di Raffaele Elia
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