Fate finta che sia una finzione
Muore mamma.
Cancro al fegato.
Muore babbo.
Cancro ai polmoni.
Genitori scomparsi: non è il titolo di un articolo di cronaca nera, è il sogno indecente di qualunque bambino e adolescente… Diciamocela schiettamente: si desidera almeno una volta nella vita di sbarazzarcene.
Eppure qualcosa va aggiunto.
Sicchè lasciamo pure che il nostro eroe dica la sua.
David resta solo con Toph, il fratello di otto anni. Solissimi. Davanti c’è la vita. E un inverno gelido che la preannuncia mica tanto comoda. Eggers, David Eggers è un formidabile genio, un esagerato con la mania di ingigantire le cose, a detta sua. Disarmante megalomane che nell’estremo atto della sua semplicità vende la casa, sale in macchina col fratello, e via, scheggia verso il mare, il sole, insomma la California e la libertà senza freni: megalomane appunto.
Ma non senza sacrosante debolezze.
In preda al panico, l’eroe sguinzaglia affondi dell’io-scribente. Sotto facile pose nichiliste e parvenza semintellettuale sembra più facile aprirsi al pubblico, certo. Tuttavia è sempre lì che va a sbattere: al suo scopo letterario confessional-catarchico. In poche parole si rifugia su un bloc notes e scrive, se non fugge se la fa sotto, oppure, se non gli scappa, conforta il fratello. Prima di tutto però, la poesia, eccheccavolo!
“So che salterò; non sono sicuro di farcela, ma so che posso saltare lontano, più lontano di quanto non abbia mai fatto prima, e so anche per quanto tempo rimarrò sospeso in aria a fluttuare come una nuvola. Che voglia di fluttuare.”
Si piange e si ride senza posa, c’è anche il tempo per annoiarsi. L’ombra dei libri grattacielo di Foster Wallace incombe, ma sono nulla a confronto con i 370 foglietti di Eggers. Magmatica compattezza di pagine a letterine stipate si alterna con svarioni jazz a pagine cordicella: frase punto a capo, frase punto a capo. Striminzito.
Ma per ridere è necessario piangere prima o poi, o forse tutto questo va fatto insieme? Insomma, se davvero il protagonista è un genio come sostiene nel titolo allora sarà il caso che s’ingegni per far stare buono il fratellino sparandone una delle sue, no? Sì, e se è per questo non mancano veri e propri colpi da maestro in pedagogia (roba da stecchire le maestrine!): la sera niente Cappuccetto Rosso! Ti leggerò una bellissima storia: Hiroshima, bestione “nero” e drammatico di John Hersey.
Leggetelo, leggetelo, e non solo perché Zadie Smith o D. F. Wallce definiscono il trentenne Eggers come la nuova frontiera della letteratura americana contemporanea e bla bla bla. Leggetelo perché se non sapete che cos’è l’autoironia oppure (ma questa è troppo difficile da spiegare) la metaironia, è il caso che vi aggiorniate.
Autoironia che sconfina nell’assurdo e nel gusto del dettaglio, del microcosmo, forse anche un po’ del superfluo.
Un esempio? La mamma di Dave è sul punto di passare a miglior vita, Eggers non ce la fa a sbrodolarsi di lacrime, non fa per lui:
Lei è incinta. Una sposina raggiante. Il tumore è un palloncino. Il tumore è un frutto, una zucca vuota. E lei è più leggera di quanto pensassi. […] Il tumore è un tumore leggero, cavo, un palloncino. Il tumore è un frutto che marcisce, già ingrigito in superficie. O un nido di insetti, infetto, nero, vivo, dai contorni confusi. Pieno di occhi. Un ragno. Una tarantola, le zampe disposte a raggiera, metastasizzate. Un palloncino coperto di terra, il colore è il colore della terra.
A cura di Fabio Falzone
in libreria ::