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Le arance tentatrici

Le arance tentatrici

Oggi, in un bar vicino al porto lavora Angela, una signora ormai cinquantenne cresciuta fin da piccola nel quartiere palermitano di Ballarò. La regista milanese Roberta Torre l’ha conosciuta. In poco tempo si sono raccontate di tutto, tanto che alla fine Angela, con la storia del suo amore impossibile, ha ispirato la Torre per la sceneggiatura del suo ultimo film.

“angela” si dovrebbe scrivere in maiuscolo, come il femminile di “angelo” (quello vero con le ali). Semplicemente perché è qualcosa di più che non un semplice nome di battesimo. È semmai un titolo onorifico all’espressività femminile. Bella da non lasciarti scampo, fin dalla prima inquadratura innamorata e tremolante di Daniele Ciprì (ancora una volta il direttore della fotografia); l’occhio non si lascia sfuggire la verità che pulsa dietro ogni fossetta del suo volto. È vera in tutto ciò che fa e in tutto ciò da cui è mossa. Certo non è in nessun modo scossa dalla vita che fa. La mafia la protegge e la riverisce. Saro, il marito, indaffarato nei suoi loschi affari, la sommerge di gioielli e baci. Ma Angela aveva già fatto la sua scelta. Rinunciare alla vita semplice. Gestire un pericoloso traffico di stupefacenti nel negozio di scarpe del marito, ma in cambio godere del lusso e del potere di “una vera signora”.
Troppo precocemente (si sposa a vent’anni) Angela riversa la sensualità del suo corpo tra le mani di Saro, che l’ama, ma che non la travolge di passione. Ci sono corpi, come quello di questa indimenticabile protagonista, che necessitano di cure particolari, che trapassano l’idea di femminilità e la fanno diventare fiamma vera e insaziabile. Solo Masino riesce a domare quella fiamma. Masino è un picciotto sbruffoncello. Molto bello anche lui. Angela se ne innamora da subito. Lui diventa la spalla del coniuge e da quel giorno gli occhi della donna cambiano luce. Diventano un mosaico impazzito di sentimenti contraddittori e di passioni strozzate sul nascere.

L’impegno davvero apprezzabile della regista è quello di non avere mai ecceduto in facili sentimentalismi e di avere scavato nell’emotività repressa con grande sincerità. Sono tantissimi e struggenti i segnali che i due aspiranti amanti si lanciano prima del bacio al porto. I sorrisi trattenuti da improvvisi sensi di colpa, la complicità di sguardi imbarazzati e quel “Lei” che Masino non rinuncia a pronunciare nei confronti della donna che prima di tutto è la moglie del suo capo. Tutto questo non fa che accrescere le tensioni di una storia d’amore destinata, come una stella, alla tenera esplosione e all’immancabile implosione, che lascia senza parole.

Memorabili moltissime scene. E sicuramente non è trascurabile l’intervento di Ciprì con la sua cinepresa pronta a rincorrere come farfalle le sfumature dorate e le ombre sfuggenti. Una in particolare: i due amanti sono nudi davanti allo specchio e recitano scherzosamente una parte, dolce parodia della loro situzione. Angela è una giovane parigina in attesa del suo fidanzato. Masino è semplicemente un ragazzo che passa di lì. Lui le dice: “Signorina, da dietro lei è già bellissima, se si gira di sicuro mi farà innamorare”.
“Sto aspettando il mio ragazzo, perché mi importuna così?”, ribatte lei provocante. “Beh, il suo fidanzato non dovrebbe farla aspettare così a lungo!”. “In effetti ha ragione, mi sto stufando, ma lei cosa vuole?”. Niente. E quando lei alla fine si gira, succede tutto.

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