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cultura dell'immagine e della parola

Assenzio

Verde e appiccicoso, denso, caldo come un genitore, veleno e cura, Pharmakos. Goccia dopo goccia enorme ispirazione onirica, figlio di Morfeo, nipote di Thanatos. Verde spirito, demone che scaldi il cuore e popoli la mente. Orribile fuga per i deboli, catena acre, che lega a nuovi universi. Dalì, Buñuel, un chien andalou, gli albori dell’arte cinematografica, sogni che si articolano compostamente, come un formicaio, musica per due pianoforti ed asini morti. Surrealismo. Sogni come navi alla deriva sul mare verde ed acre. Sogni che occupano la veglia e che mostrano la finzione della realtà percepita. Ci sono più cose nelle nostre allucinazioni di quante potremmo mai immaginarne.“Tutto ciò non vale il tremendo prodigio della tua saliva che, mordendo la mia anima senza rimorso, la sprofonda dentro l’oblio e carreggiando la vertigine, la spinge estinta ai lidi della morte” mi sta dicendo Baudelaire, e allora un’altra goccia, un altro salto, un’altra visione.

Visione di Lynch, le sue “Strade perdute”, le vite parallele di un musicista ed un meccanico, la stessa persona, diversi misteri, un intrigo sessuale. Sogni legati a tradimenti e uomini misteriosi. Ancora Lynch, nei boschi di Twin Peaks, una ragazza uccisa, un investigatore curioso, interessato di occultismo, miti indiani e segreti inconfessabili. Un mondo apparentemente normale e realmente onirico. E ancora uomini elefanti e nani, giganti e donne barbute che in corteo dentro un bosco incantato vanno in processione, verso un sogno di libertà e normalità, che si dimostrerà più finta della finzione. Ma ancora, ancora mi chiama a gran voce il bicchiere e pretende che io versi un altro po’ del liquido sull’altare di Morfeo.
Ancora un salto, ancora un viaggio, ed inseguo Burroghs nei suoi pasti nudi, correndo per metropolitane sporche mentre pezzi di vetro di contagocce entrano in ferite putrescenti della coscia e strani esseri dai lunghi becchi come libellule, succhiano la vita a giovani nudi. Sogni, sogni che costellano l’universo della nostra esistenza. Arte. Mi trasformo lentamente in scarafaggio per entrare nel mio appartamento, e mio padre mi tira una mela nella schiena; sono in Kafka o in Dylan Dog? E mentre danzo in un palazzo di dodici stanze sento i rintocchi del tremendo pendolo voluto dal re. Tra noi sgusciante e nerovestita si annida la morte rossa.
Sogni, che costellano le nostre esistenze, Kusturica, e i suoi sogni zingareschi. Arizona dreams, un esquimese che pesca un pesce e con la vescica ne fa un palloncino per suo figlio, palloncino che viaggia per il mondo, di sogno in sogno, di allucinazione in allucinazione. Ancora fatico a far defluire il liquido dalla bottiglia al bicchiere, lo incendio. Soavi vapori, che obnubilate la coscienza e create i sogni: il sonno della ragione genera i mostri, ma cos’è l’arte se non la rappresentazione dei mostri?

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