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Quando il cinema non è fiction

Quando il cinema non è fiction

Il giornalismo d’oggi è fatto solamente di cronaca nera, omicidi e violenze varie e ben assortite. Michael Moore, forse il miglior documentarista contemporaneo grazie all suo stile acuto e ironico, conosce bene invece quel giornalismo d’inchiesta di questi tempi così raro, e si scaglia proprio contro i media e il quinto potere.
Il film si apre come una riflessione sull’utilizzo delle armi negli Stati Uniti, paese dove gli omicidi da armi da fuoco sono cento volte superiori rispetto a ogni altra nazione del mondo. Attraverso analisi ed interviste, Moore dimostra che la colpa non è né dei film o dei videogiochi violenti, né della musica rock, solo in parte della famiglia in crisi e della quantità di armi. Il tutto si fa quasi surreale quando mostra due città, una americana e una canadese, separate solo da un fiume. La prima (Detroit) è una delle più violente del mondo, la seconda ricorda un solo omicidio negli ultimi tre anni. Le due città, apparentemente identiche, hanno solo una grande differenza: la tv. Nella prima si vedono i canali americani, nella seconda quelli canadesi. E, mentre i telegiornali canadesi parlano di politica e attualità, quelli statunitensi sono cronaca al 100%, real tv, omicidi e massacri. Negli ultimi anni i crimini sono diminuiti del 20%, le news di cronaca nera sono aumentate del 600%. Si crea una parabola di paura, gli americani comprano ancora più armi, e a Bush non rimane altro che attaccare l’Iraq.
Tra gli incontri più suggestivi, quello con uno degli autori di South Park, che contribuisce anche con un cartone animato che racconta la storia degli Stati Uniti nella lotta tra bianchi e neri, e quello con Marilyn Manson, icona del rock satanico che si dimostra il più lucido sull’argomento. Ma l’intervista più stupefacente è senza dubbio quella con Charlton Heston, presidente della National Rifle Association. L’ex Ben Hur, che vorrebbe che ogni americano avesse un’arma, viene incontrato con uno stratagemma da Moore, che si dichiara suo sostenitore. Heston, mostrato durante conferenze a dir poco imbarazzanti, finisce per fuggire incalzato dalle domande di Moore.
Un documentario assolutamente da vedere insomma, centoventiminuti che scorrono davanti agli occhi dello spettatore trascinati dall’ironia di Moore e dal senso di grottesco che emerge da una società, quella americana, sempre pronta a distruggere e ad autodistruggersi.

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