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Dolore e incognito

Dolore e incognito

Per un pelo ci scappava pure la Palma. E invece il premio (come migliore attore) è andato direttamente a colui il quale il film è stato direttamente dedicato e studiato. Si chiama Olivier Gourmet ed è stato protagonista anche nel precedente successo dei fratelli Dardenne, “La promessa”. Un riconoscimento d’affetto ed amicizia, promesso da anni dai due registi francesi, e che in quest’occasione ha visto l’attore (anche nel film si chiama Oliver) in un ruolo disegnato su misura per lui.

Il protagonista fa il falegname lavorando come maestro in un grande centro d’apprendistato per giovani riformati. Conduce una vita apparentemente monotona, ma un giorno, nello stesso centro, arriva un giovane ragazzo, Francis.
“Le fils”, sembra l’ennesimo capitolo di una trilogia iniziata tanti anni fa, con “La promesse”. Tutti i loro personaggi subiscono la solitudine e combattono, non per dei valori di solidarietà, ma per il vivere il quotidiano, per resistere al presente.
In “Le fils” ci troviamo di fronte a due figure solitarie e al gioco forza che scatenano. Il figlio di Olivier è stato ucciso da un suo coetaneo, senza una spiegazione plausibile. Il giovane assassino, in seguito, si ritrova a lavorare insieme al padre dell’ucciso, come se niente fosse. Senza saperlo soprattutto. I due corpi parlanti sono questi, il resto non conta. Olivier spia il ragazzo, lo pedina, lo tallona. Gli insegna a lavorare, mentre vorrebbe imparare ad ucciderlo. Lo osserva allora, e ne scruta dietro spesse lenti appannate le sembianze giovanili. Ma è davvero un assassino questo ragazzo? Lo porta con sé per insegnarli a distinguere il legno e trama qualcosa, anisioso. Forse vuole ucciderlo.
Olivier è braccato dalla macchina da presa che ansima addirittura per pedinare la sua preda. Piantata tra le scapole del falegname, lo segue nervosamente, a scatti, nei suoi continui soprassalti di allarme e motricità senza sosta.
Il più grande dilemma è nell’incapacità di far rivivere la propria memoria, dolorosa e inconfessabile. Ma è questa stessa memoria privata a tenerli legati. Il personaggio di Olivier mantiene la sua umanità, nel tentativo di trovare una risposta al dolore della morte del figlio e senza usare violenza nei suoi confronti; conduce una lotta che è disperata in partenza, perché vorrebbe delegare a un “estraneo” un dolore o una consapevolezza che non gli appartengono. Tuttavia si accolla questo dovere, fino in fondo.

La loro vita è presentata come un susseguirsi di gesti ripetuti all’infinito, sempre uguali. Questa è la storia e la memoria dei personaggi dei Dardenne ed è attraverso la ripetizione meccanica di tali gesti banali, assurdi, che si riesce a intuire la loro vita. I corpi comunicano e lo fanno più delle parole; per questo motivo il non-detto è così presente e i dialoghi si pongono semplicemente su un piano secondario. Tutto è già segnato in quei corpi e in quei gesti; i corpi trapelano più di quanto le parole possano raccontare. I personaggi dei Dardenne sono superstiti sempre in guerra, in bilico. Igor, Rosetta, Francis lottano nella vita sgomitando esattamente come sono costretti a fare per essere inquadrati dalla macchina da presa, che li bracca facendosi largo attraverso i corpi pesanti delle persone che li circondano e li coprono: un padre, una madre o un maestro.

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