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cultura dell'immagine e della parola

Uomini e donne del Signore, s.p.a.

Uomini e donne del Signore, s.p.a.

Maddalena, peccatrice, trovò salvezza attraverso la penitenza.
Dunque soffrire: ed evitare così l’eterna morte, i spaventosi castighi infernali.
Non finire all’Inferno: suore-contabili, caritatevoli cassiere-serve del Signore offrono a ragazze perdute la possibilità di farlo.
E’ sufficiente diventare ospiti di un istituto “Sorelle di Maddalena”.
Lì, l’abnegazione di sorelle-econome farà sì che codeste ripugnanti peccatrici, anime perse, trovino riscatto in luogo dell’eterno dolore (che meriterebbero appieno, sia chiaro).
Come? Lavorando.
Soffrendo.
Ma cos’è mai un piccolo Ade terrestre, al cospetto di quell’altro che sta dabbasso? C’è tempo in eterno per gioire. (Queste puttanelle poi si sono già divertite abbastanza.)
E quindi: lavoro estenuante, punizioni corporali, violenze psicologiche sono la maniera migliore per redimere queste meretrici: per la loro salvezza questo e altro.
Che poi, alcune di queste sordide peccatrici si sono addirittura permesse di dare alle luce un bimbo, di avere adescato un cugino; persino, e questo è il colmo! di essere popolari tra i ragazzi. (Le spudorate.)
E’ giusto dunque che le benemerite suore-imprenditrici, per il disturbo che si pigliano, ricavino dalle lavanderie in cui le ragazze lavorano un piccolo guadagno.
Il Maligno non lo si combatte a sole preghiere.
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Nell’Irlanda degli anni ‘60 il benpensante medio doveva pensarla pressappoco a questo modo.

Decine di migliaia di ragazze sono passate attraverso le lavanderie delle “Sorelle di Maddalena”; questi campi di lavoro cattolici sono stati tristemente reali fino al 1996. Fino a ieri.
Quante tra queste giovani hanno abbandonato tra quelle mura la loro giovinezza? Quante hanno perso la voglia di sperare? Gli anni che passano come giorni, la disperazione che diventa l’unica maniera di esistere, tutto ciò per cosa?
Per la redenzione delle anime, chiaro; per andare in paradiso.
La peccatrice come mano d’opera a costo zero: idea ingegnosa.
Magdalene è un film che vibra di sdegno dal primo all’ultimo minuto: il regista Peter Mullan, già attore di Ken Loach, non risparmia niente ai cosiddetti servi del Signore: avidità ipocrisie nefandezze, tutto è rappresentato senza mediazioni, senza sfumature.
Il mondo cattolico, indignato, grida allo scandalo: esagerazioni! quel “comunista” di Mullan non fa che mostrare provocazioni gratuite: la suora che conta continuamente il denaro con gli occhi che luccicano, ad esempio, o il prete che abusa di una povera ritardata.
Esagerazioni?
Lo sdegno dicevamo: è quello che fa venire voglia di gridare, di denunciare pubblicamente, senza mezzi termini, ciò che si reputa vergognoso.
Grida, Mullan, contro chi si fregia del titolo di uomo (donna) di Dio, e dentro è più marcio di certi pozzi dell’inferno dantesco dentro cui stanno gli adulatori.

YOU ARE NOT A MAN OF GOD!
La sequenza più impressionante di Magdalene è scandita da questo urlo: indirizzato verso un prete fornicatore, mentre questi è ridicolizzato in pubblico. La ragazza che pronuncia queste parole, manco a dirlo, sarà internata in manicomio. Per aver detto la verità.
Come Mullan, vibriamo di sdegno anche noi all’uscita dal cinema;
come la ragazza anche noi urliamo:

YOU ARE NOT A MAN OF GOD!

di Mario Bonaldi

Si sentiva la mancanza di un film scomodo, di un film che facesse parlare di sé e che in un mare di prodotti audiovisivi senz’anima, riuscisse a scatenare autentiche polemiche e clamorose reazioni. E’ riuscito in quest’intento Peter Mullan, visto in “Trainspotting” e protagonista premiato in “My Name is Joe”, che dandosi alla regia trionfa nei tiepidi lidi veneziani portandosi a casa il Leone d’Oro. Il film racconta con un linguaggio asciutto e privo di sbavature le drammatiche vicende, verosimili quando non vere, di giovani sfortunate rinchiuse in un convento di suore irlandesi per purgare colpe, davanti ad occhi moderni, mai commesse. Di tali istituti (i conventi “Magdalene”, nome derivato dalla biblica prostituta penitente, gestiti dalle Sorelle della Misericordia) ne esistevano parecchi in Irlanda, soprattutto nel 1964, anno in cui è ambientato il film. Le ragazze qui rinchiuse dovevano mondarsi l’anima lavando senza sosta le macchie dai vestiti della lavanderia del convento e arricchire con il loro lavoro le suore prive di scrupoli, pronte a punire con la violenza fisica e psicologica ogni più piccola defezione dalle regole.

Lo stile di Mullan è palesemente debitore a Ken Loach e azzeccatissimo nella narrazione di stampo documentaristico. Del resto il film prende ispirazione proprio da un documentario trasmesso su Channel Four, in cui le superstiti raccontavano la loro esperienza di reduci dalle lavanderie delle “Magdalene”. L’ottima fotografia di Nigel Willoughby con i suoi colori spenti, tutte modulazioni di marroni e verdi, i suoi toni cupi e saturi, completa l’opera del regista, restituendo la cruda follia di quei conventi.

Le reazioni al film sono state immediate e perentorie da parte della Chiesa Cattolica, che ha condannato senza mezzi termini il film. I toni delle invettive cattoliche sono stati così smaccatamente provocatòri e carichi di rabbia da essere un po’ imbarazzanti, anche perché le storie raccontate sono vere. Sono dati di fatto, ma il revisionismo cattolico vorrebbe cancellarli dalla menoria. Il cardinale Tonini ha definito il film come una tesi calunniosa ed esempio di decadenza dell’arte, l’Osservatore Romano l’ha considerato semplicemente come una provocazione rabbiosa e rancorosa e tutti gli altri commenti da parte dei cattolici o della Chiesa Cattolica sono dello stesso tenore. Io era andato al cinema un po’ prevenuto, pensando che avrei visto un film assolutamente di parte e quindi poco interessante (dico questo da convinto ateo). La mia sorpresa è stata invece che mi è sembrata una delle cose più obiettive che abbia mai visto sulla Chiesa C attolica. Avendo io studiato in istituti cattolici diretti da suore, ho ritrovato moltissimi punti di contatto tra la mia esperienza personale e quella presentata nel film. Come in Magdalene le suore avevano diritto al miglior cibo, mentre agli studenti era riservata una specie di sbobba gialla indefinibile e guai a non mangiarla! Ho visto suore picchiare con violenza chirurgica povere bambine per banalissimi motivi e le ho viste infliggere punizioni di una violenza psicologica in grado di rovinare l’infanzia a molti ragazzini. Naturalmente la mia esperienza personale, che purtroppo non è un caso isolato, non è stata così pesante come nel film. Forse perché sono stato fortunato o semplicemente perché gli studenti della mia scuola pagavano per essere là e non c’era interesse nel trattarli troppo male. Ho brevemente raccontato la mia esperienza per giustificare la mia reazione al film, che ho letto non come una semplice provocazione anticattolica, ma come una critica alla società che segregava le “peccatrici ” in quegli istituti. Se il film vuole attacare la Chiesa, lo fa solo perchè suore e preti non facevano (non fanno?) nulla per combattere pregiudizi o violenze, ma li alimentavano sostenendoli e promuovendoli. Come tutti i vari integralismi, quel certo integralismo cattolico presentato nel film era un sintomo, di una società malata, non causa, non elemento anomalo di un mondo perfetto. Si pensi alla figura forse più detestabile presentata nel film: il padre, interpretato da Mullan stesso, della ragazza che fugge dal convento che poi riporta e picchia e insulta selvaggiamente. Le suore non fanno nulla per fermare la cieca violenza del padre, si limitano ad assistere alle violenze, in attesa che arrivi il loro turno per dispensarle. Il film utilizza la Chiesa cattolica come pretesto per una critica piu’ ampia, che esce dai confini del convento e che va oltre alle critiche di parte che vorrebbero impedirne la visione. Un’opera libera, un’opera contro un certo sistema malato e conservatore. Da vedere assolutamente.

di Andrea Montagnoli

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