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cultura dell'immagine e della parola

A few good men

Abbiamo incontrato Beniamino Saibene, direttore del MilanoFilmFestival, che, giunto alla settima edizione, può aspirare (grazie alla qualità dei prodotti, al successo di pubblico e all’interesse dei media e non solo) a diventare una realtà primaria sulla scena milanese.
Seduti di fronte al Teatro Strehler, prestigiosa sede della manifestazione, non è difficile leggere negli occhi di Beniamino, oltre a una comprensibile stanchezza, una, meritatissima, soddisfazione…

Il MFF è, oggi, una realtà importante nel panorama milanese,
Com’è nato il Festival e come si è evoluto?


L’evoluzione è stata abbastanza incredibile, essendo dei romantici ci ricordiamo sempre gli inizi con qualche lacrimuccia… Sette anni fa eravamo al CS Garibaldi, un’ex chiesa sconsacrata e il festival della prima edizione durava una sola notte, c’erano 500 pazzi seduti per terra a vedersi questi 10 video milanesi e da lì in poi è nato tutto. Ci siamo detti, facciamo un bando di concorso e vediamo se tra i giovani milanesi c’è qualcuno che ha voglia di fare qualcosa di diverso, del cinema e abbiamo selezionato 5 o 6 video che abbiamo proiettato davanti a questa piccola platea che, entusiasta, ci ha spinti a ripetere questa iniziativa. Da lì è iniziata questa sfida. E così anno dopo anno abbiamo avuto sempre più collaboratori e film in concorso, siamo riusciti ad avere qualche piccolo sponsor, qualche aiuto istituzionale dal comune, diventando quindi anche un punto d’incontro, un ritrovo.
Quest’anno sono arrivati 1200 film in selezione, che forse è il limite oltre al quale non riusciremmo ad andare, e c’è stata una sorta di esplosione di notorietà, un sacco di gente che viene e un sacco di giornalisti che ne parlano. E finalmente, perché sono anni che ci lavoriamo credendoci molto. È stata una grande soddisfazione…

Per passare da una nottata in una chiesa sconsacrata a una settimana in uno dei luoghi simbolo della cultura milanese dove avete trovato finanziamenti e come vi siete pubblicizzati?

In realtà la vera difficoltà sta nell’organizzare questi 10 giorni: costa soldi e una serie di atti burocratici e di permessi. Infatti durante l’anno il festival è molto povero, ci lavorano pochissime persone e si sfruttano i soliti mezzi: siti internet, e-mail e una mailing list di scuole di cinema, di registi, produttori e artisti vari in giro per tutto il mondo, che crescendo di anno in anno è diventata il nostro punto di forza. Basta un click per raggiungere migliaia di persone. Paradossalmente lo sforzo maggiore è l’allestire un teatro come un cinema e creare questa piazza a cui noi teniamo tantissimo… é lì che si lavora tanto! A quel punto, con un pubblico più numeroso, è anche più facile trovare collaborazioni e sponsor che sono interessati a far vedere il loro marchietto, le solite logiche… noi saremmo molto più felici di avere solo istituzioni come il comune che finanziassero il tutto, ma siccome il comune ci finanzia un po’, ma mai abbastanza, anzi sempre meno andiamo a cercare sponsor privati. Se riuscisse a rimanere il festival della città con l’appoggio del solo comune saremmo più felici…

Vi siete ispirati ad altri festival? Come vi rapportate con il panorama nazionale e internazionale?

Bella domanda… a livello nazionale non siamo mai riusciti a trovare un corrispettivo che lavorasse con lo stesso spirito e le stesse idee. I primi anni andavamo abbastanza a Torino e a Locarno, ma ultimamente ci hanno un po’ deluso. In realtà ce lo siamo un po’ inventati questo festival, rimaniamo degli “outsider” perché nessuno di noi è critico o giornalista e non ci sono dietro agganci politici o televisioni. Siamo noi che ogni volta ci inventiamo una struttura diversa. Infatti molti cinefili “doc” storcendo il naso ci dicono: ma un festival con solo 4 lunghi e pochi italiani… non seguiamo regole festivaliere, facciamo quello che ci va di fare… quello che ci piace lo prendiamo e quello che non ci piace no… molto semplicemente.

Quindi la scelta dei corti è più legata al voler dar voce a giovani ed esordienti che non troverebbero spazio in festival più “istituzionalizzati”?

Noi ci crediamo tantissimo in questi 45 corti e 4 lunghi e insieme ai film puntiamo molto sulle persone che li hanno realizzati. Cerchiamo infatti d’invitare tutti i registi, nonostante le difficoltà economiche… però è proprio questa la cosa più importante del festival: la possibilità di mescolare e far incontrare queste persone tra di loro e con il pubblico, come avete potuto vedere voi stessi in queste serate.

Quindi tutto molto poco “accademico”…

Sì, è veramente un gruppo di una quarantina di persone che hanno lavorato chi un anno chi tre mesi e poi le vedete qui che passano dall’ufficio stampa, alla sala proiezioni o a stappare le birre dietro il bancone… un lavoro di gruppo che forse si sente anche da fuori.

Scegliere 45 corti tra i 1200 che vi sono arrivati… Com’è stata la selezione?

È stata durissima… Tre mesi faticosissimi ma molto belli di visioni e discussioni. Siamo 6 persone che visionano i film, con l’aiuto esterno di amici ed esperti… È un’attenzione a cercare film fatti da persone che ci credono veramente e che non stanno solo giocando al cinema, poi magari tra film più complessi ce ne sono di più semplici, quasi solo “divertissement”. Però una selezione fatta così è un bel messaggio, un pugno nello stomaco alla distribuzione classica che c’è in Italia e nel mondo.

E’ strano infatti, vedere la mescolanza di forme, generi, stili: si passa da corti assolutamente “professionali” a delle cose più brevi, semplici o ad altre sperimentali…

Infatti, credo sia una delle nostre caratteristiche, gli stessi registi che vengono se ne stupiscono… Vedendo i loro film mescolati a opere del tutto diverse… Mi piacerebbe che questa logica di contaminazione fosse un piccolo insegnamento anche per altri festival… Aprirsi a tutto, il cinema è tutto… Da un minuto a cento minuti, dal VHS alla pellicola.

Parlaci del progetto di ridistribuzione dei corti e dei film

È un progetto ambiziosissimo. L’anno scorso è partito in via sperimentale, ma è andato molto bene perché abbiamo fatto 40/50 città, cittadine, centri sociali, cineforum. Quest’anno dovremmo essere un po’ più strutturati, con un gruppo di persone addetto solo a questa iniziativa. Mettiamo tutti i corti su un DVD e poi cerchiamo di organizzare delle proiezioni in tutta Italia… Insomma tentiamo d’inserirci in una distribuzione che ormai in Italia è per il 65/70% nelle mani di una sola persona (il cavalier B., per chi non l’avesse capito…); può funzionare… Speriamo.

Un bilancio di questa edizione?

Per i bilanci bisognerebbe attendere domenica sera… Comunque fino ad ora c’è una soddisfazione palpabile in tutti noi, perché in verità non ci aspettavamo un successo del genere anche se ci speravamo (un po’, anche il tempo, se pioveva eravamo rovinati…). È il primo anno che si sentono sia le attenzioni e i complimenti di un pubblico molto presente sia queste pressioni politiche che danno molto fastidio ma che ti fanno sentire importante… Assessori e politici che ti fanno capire che se questa è la tua strada l’anno prossimo magari i finanziamenti te li tolgono… Poi un pubblico così numeroso li fa ritornare sui loro passi… Un discorso che così, da outsider, ci diverte vedere.

Ogni anno si riparte da capo, senza nessuna certezza?

Sì, assolutamente… Le istituzioni sono l’ultima certezza al mondo, anche perché forse non siamo molto in sintonia… E non lo saremmo neanche con un governo di sinistra. È proprio un modo diverso di intendere la cultura, per loro una voce di bilancio di fianco a traffico, verde, per noi una cosa un po’ più ampia, al di sopra di tutto… Cultura come vita di tutti giorni. Difficile farglielo capire…

Quest’anno la giuria è composta dalla redazione di “Duel”. Come mai questa scelta?

Sono contentissimo che abbiano accettato e curiosissimo del loro responso. Comunque erano entusiasti anche loro della qualità media molto alta (neanche a Cannes…). [img4] Trovo positivo che la giuria sia composta da un gruppo affiatato di persone che già durante tutto l’anno sia abituato a lavorare insieme, penso che funzioni meglio rispetto a un gruppo eterogeneo. La giuria dei lunghi è composta da tre donne, e anche questo mi sembra divertente e poi c’è il premio del pubblico, attesissimo, a cui si affiancano il premio dello staff, il premio Aprile e quello che si autoassegnano i registi.

Un’ultima domanda: hai detto che tutto è nato come una scommessa, come vi vedete nel futuro, come pensate di evolvervi?

A me piacerebbe che lo spirito con cui stiamo facendo il festival rimanesse tale, mi vedo fra dieci anni a stappare birre dietro al bar…Sarebbe bello che il progetto di ridistribuzione assumesse le stesse dimensioni del festival e poi abbiamo talmente tanti progetti come Esterni: l’elezione per il sindaco da fare come lista civica autonoma fuori dagli schemi politici e lo sciopero televisivo. Molte aspettative, ma dipende anche da chi ci seguirà…

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