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cultura dell'immagine e della parola

Visioni di Cannes – L’uomo senza passato

SCHEDA

Titolo: L’uomo senza passato
Titolo originale: Mies vailla menneisyytta
Regia e sceneggiatura: Aki Kaurismaki
Fotografia: Timo Salminen
Montaggio: Timo Linnasde
Suono: Jouko Lumme
Inerpreti: Markku Peltola, Sakari Kousmanen, Kati Outinen
Finlandia
97′
Giudizio: ***

Un uomo viene rapinato e aggredito. Sembra morto, poi si risveglia ma ha perso completamente la memoria. Da qui rinizia la sua vita: trova una lavoro, una casa e s’innamora fino a quando un giorno rispunta un’indizio del suo passato.

Kaursmaki ci proietta in un mondo tutto suo, in quella Finlandia proletaria che aveva già raffigurato in “Nuvole in viaggio”, inedita, che più che ad un paese scandinavo sembra assomigliare ad un paese del Sud America, se non fosse per le chiome bionde e gli occhi azzurri. Un mondo fatto di poche parole, di dialoghi brevi (a volte di un’ironia inaspettata); dai quali però scaturisce una poesia delle piccole cose e dei piccoli gesti.
Kaurismaki ama i suoi personaggi e noi non possiamo far altro che seguirlo, affezionandoci al protagonista smemorato, al suo sguardo attonito con cui inizialmente affronta la situazione in cui si ritrova, ai gesti meccaninci con cui si prepara l’ennesima sigaretta, alla semplicità e all’ottimismo con cui dal nulla ritorna a vivere. Da una vicenda simile ci si potrebbe aspettare disperazione, disorientamento, ma Kaurismaki non è Cronemberg, e il suo intento non è spiazzare lo spettatore o inserirlo in una vicenda angosciosa, semmai, al contrario, ci vuole mostrare lo scorrere della vita nella sua lentezza e nella sua quotidianità, sempre con un pizzico d’ironia.
La regia è secchissima (ma non per questo priva di un taglio molto personale); in sintonia con il tono di poetica semplicità che caratterizza tutto il film: Kaurismaki non ci mostra nulla in più dello stretto necessario con uno stile che oscilla tra lo sguardo realista della macchina da presa e l’atmosfera surreale, stralunata della vicenda in sè. I movimenti di macchina sono pochi, ma ogni volto scelto, ogni interno, ogni luce possiedono una forza suggestiva che ci proietta in una dimensione particolare, suggestiva, quasi atemporale.
Perduta completamente la memoria, cancellata ogni traccia del nostro background e dell’esperienze accumulate significa non essere più nessuno oppure significa poter rivivere una seconda vita, senza disperarsi tanto per quella passata che non ricordiamo più, ed è questo atteggiamento di placida accettazione che il protagonista mette in atto, quasi a volerci dare una lezione di vita.
Sembra quasi una favola quella che il regista vuole raccontarci con questo film, una favola moderna: un uomo muore, rinasce e non possiede più nulla, è una “tabula rasa” che riaffronta il mondo per una seconda volta. Una sorta di risurrezione, di grazia ricevuta, che sembra dargli la possibilità di osservare il mondo con gli occhi dell’innocenza, quasi fosse un bambino, con un ottimismo ed una speranza che, ci è fatto intuire, probabilmente nella sua “vita precedente” aveva perduto.

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