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Tra la vita e il set

Tra la vita e il set

Il cinema, da quando è nato, si è sempre divertito a parlare di se stesso in un gioco un po’ narcisista di rispecchiamenti: a volte come riflessione sul rapporto tra arte e vita (“8 ½” di Fellini); a volte come dichiarazione d’amore nei confronti del cinema stesso (“Effetto notte” di Truffaut). Gli esempi potrebbero andare avanti a dimostrazione di una tendenza che è quasi diventata un genere.
In questa caso sembra che questo gioco di rispecchiamenti sia il pretesto per mettere in scena una commedia (aggiungiamo satirica) a tutti gli effetti e quindi non una riflessione sul medium cinema o sull’arte.
Mamet, drammaturgo molto affermato oltre oceano, prende di mira il mondo spietato di Hollywood e di un’America in cui gli unici valori che sembrano trionfare siano il successo e il denaro.
I personaggi sono quelli tipici della commedia, cioè stilizzati e in questo caso forse stereotipati: il produttore cinico e spietato che farebbe qualsiasi cosa pur di portare a termine il prodotto-film; il regista hollywoodiano, dispotico e non di certo “autore”; le star viziate e superficiali; e infine lo sceneggiatore, fulcro del film, l’unico che conserva (o almeno sembra) degli ideali e una vera passione sganciata dal materialismo.
I dialoghi non sono mai banali e i tempi dell’azione sono ottimamente congegnati e si capisce che Mamet di mestiere fa il drammaturgo e ed è regista solo per “hobby”. La regia non è infatti invadente e si limita ad accompagnare una sceneggiatura scritta e costruita bene: la battuta è sempre pronta e le situazioni si susseguono con fluidità mantenendo sempre nello spettatore la curiosità di saper come si concluderà la vicenda.
Il cast è ottimamente scelto, pensato anch’esso con una vena d’ironia nei confronti dello star-system. Nei ruoli di protagonisti del film “vero” troviamo infatti tutti attori che provengono dal cinema indipendente, mentre nei ruoli da protagonisti del film che la troupe deve girare due star esiliate ed escluse dal mondo spietato di Hollywood: Alec Baldwin, ormai sparito, e Sarah Jessica Parker, passata al telefilm da prima serata.
In generale però, il film non riesce ad essere particolarmente graffiante come in realtà vorrebbe sembrare, tutto sembra risolversi nella commedia e nella pochade. Il finale, è vero, non risparmia nessuno: tutti rimangono vittime del fascino del successo e del dio-dollaro, la macchina industriale del cinema, e con lei l’America, vanno avanti con tutte le loro ipocrisie latenti e mal celate. Ma la sensazione finale, comunque, è quella di aver assistito ad una commedia divertente.
Forse è lo schematismo dei personaggi che toglie incisività al film. Forse la storia d’amore tra lo sceneggiatore e la libraria del paese sembra un po’ stonata rispetto al resto del film e ne smorza il tono polemico: appare come un inserto romantico e a volte un po’ sdolcinato all’intreno di un clima di generale cinismo e spietatezza (non manca il bacio finale).
C’è un’America che non ci sta e punta il dito contro gli ideali dominanti, ma poi nessuno si prende sul serio e allora sembra solo un gioco. Insomma, niente di nuovo, ma nel “deserto cinematografico” di inizio giugno sembra un oasi rigogliosa…

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