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cultura dell'immagine e della parola

Urlo

“Ogni esclamazione, parola, frase o discorso pronunciato con voce troppo alta, con tono violento e scomposto.”

L’urlo è una immagine, è un suono inesistente, una voce che non è, il sipario ma non lo spettacolo.
Urla-grida, occhi e denti spalancati, un buco senza fondo e nero che si apre nella voragine aerea. Respirare aria e rigettarla come un fuoco sotto forma di energia.
Il calore caldo delle mie mani, dei miei piedi, delle mie ossa che sale e diventa paura. Emozione, sottrazione-addizione, spavento e anche gioia.

“Suono alto di voce emesso con forza. (Le grida dei bambini che giocano)”

IMMAGINE: “L’urlo” di Munch è la semplice riscrittura sotto forma di quadro della mia idea, o Jodie Foster sul flipper in “Sotto Accusa”.
Non sento nessuna voce, eppure percepisco la tensione catturata dai miei occhi dilatati.

Io grido, tu urli, essi urlano.

IL FILM: Anna Magnani in “Bellissima”, è seduta su una panchina con la figlia.
Sono sole nel vuoto di una piazza. Grida: “Aiuto!”, sommessamente, con la voce spezzata, verso qualche entità inesistente. Ma nessuno la sente. Solo noi, spettatori inerti percepiamo il dolore, percepiamo il terrore.

Io grido da solo. E senza bisogno di essere ascoltato.

LA MUSICA: “Climbing up the walls”, nona canzone del cd “Ok computer” dei Radiohead.
Sento la voce di Thom, front-man del gruppo, che cerca di salire sui muri del cervello di lei.
Riesco a sentire le sue grida silenziose, quasi sequestrate e minate, ma allo stesso modo mi sembra di poter sentire le urla di lui, le grida di impossibilità, di non raggiungimento.
Di nessuna salita.
È un grido conclusivo alienante, lontano dal pensare al valore della parola “amore”, che pone fine alla guerra, ma costruisce anche un filo conduttore, dorato, pacifico e di sconfitta: NO ALARMS, NON SURPRISES.

“Do not cry out or hit the alarm.
You’ll get the loneliest feeling that
Either way you turn
I’ll be there (…)”

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