Tutti gli uomini di Cannes IV
Marco Bellocchio
Nasce a Piacenza nel 1939. Frequenta scuole d’impronta religiosa fino all’università, quando nel ’59 interrompe gli studi di filosofia all’università Cattolica di Milano e si iscrive a Roma al Centro Sperimentale di Cinematografia. Trasferitosi a Londra, frequenta la Slade School of Fine Arts.
Dopo avere realizzato diversi cortometraggi tra il ’61 e il ’62, nel 1965 esordisce col suo primo lungometraggio “I pugni in tasca”, con il quale si impone all’attenzione internazionale. E’ uno dei registi italiani più provocatorî e impegnati: in opere come “La Cina è vicina” (1967); “Nel nome del padre” (1971); “Il gabbiano” (1977); “Gli occhi, la bocca” (1982); “Diavolo in corpo” (1986); “La condanna” (1990); “Il sogno della farfalla” (1994); “La Balia” (1999); Bellocchio mette in scena ipocrisie e tensioni della società italiana e della famiglia borghese in particolare. Altro bersaglio importante per questo regista è la concezione “affaristica” della religione, l’ipocrisia che la sottende: è il tema che ha ispirato “L’ora di religione – Il sorriso di mia madre”, unico film italiano in concorso a Cannes 2002. In questa controversa pellicola un pittore, ateo e materialista, scopre che la madre, assassinata da uno dei figli, sta per essere canonizzata. Due bestemmie al suo interno hanno reso questo film vietato ai minori di quattordici anni; la sua condanna dell’uso spregiudicato della religione ha provocato proteste da parte della Conferenza Episcopale Italiana.
Amos Gitaï
Da oltre vent’anni, questo regista porta sullo schermo le immagini della società israeliana e della diaspora ebraica, svelando tutte le tensioni e le inquietudini che percorrono dalla sua nascita lo stato d’Israele. Nato a Haifa nel 1950, Gitaï alterna la realizzazione di documentari a opere di fiction: tra i suoi lavori presentati al Festival di Cannes troviamo “Esther” (1986); “Kadosh” (1999); “Kippur” (2000); e quest’anno “Kedma” (2002). Quest’ultima pellicola rappresenta un ulteriore avanzamento nel percorso di ricerca dell’autore: girato nell’Israele del sud, vicino a Beit Govrin, “Kedma” tratta principalmente il tema dell’emigrazione e della conseguente perdita di individualità dell’uomo che è costretto a lasciare la propria terra.
Mike Leigh
Regista inglese, nato nel 1943 a Salford, Lancashire. Inizia la carriera come regista della BBC, e sviluppa un nuovo metodo di recitazione per i suoi attori: essi infatti devono dare la propria interpretazione del testo che viene comunicato loro oralmente. Il primo lungometraggio nel quale Leigh adotta questa soluzione è “Bleak Moments” (1970). Dal 1973 al 1984 dirige una serie di opere per la BBC che riprendono i temi del cinema realistico-sociale degli anni ’60 (“Free Cinema”). Il primo vero successo cinematografico del regista arriva con “High Hopes” (1989) dura denuncia dei danni sociali causati dal modello economico tatcheriano. Le opere successive “Life is sweet” (1991) , “Naked” (1993) e soprattutto “Secret and Lies” (1996); Palma d’oro a Cannes, elevano l’autore al rango di uno dei più importanti registi britannici contemporanei. Seguono “Career girls” (1997) e “Topsy-Turvy” (1999); entrambi ben accolti dalla critica. L’ultima opera, presentata al Festival di Cannes di quest’anno, è “All or nothing” (2002) è un amara rappresentazione di come il quotidiano esistere umilia e spegne la vitalità degli individui.
Accanto alla produzione cinematografica Mike Leigh porta avanti quella per il teatro: è autore di circa venti plays.
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Elia Suleiman
Palestinese, nato a Nazareth nel 1960 ed emigrato ventiduenne negli Stati Uniti, Suleiman ha vinto il premio della giuria al Festival di Cannes di quest’anno con “Divine intervention”, suo secondo lungometraggio dopo “Chronicle of a disappearence” (1996); film che vinse il premio Best First Film alla mostra del cinema di Venezia.
Il nuovo lavoro racconta la storia d’amore tra un uomo e una donna palestinesi, il primo di Gerusalemme, la seconda di Ramallah, sullo sfondo della difficile situazione politica tra le due città.
La vena umoristica di Suleiman, inedita nel panorama cinematografico mediorientale, lo ha fatto definire “il primo Woody Allen arabo”.
Micheal Moore
Con il documentario “Bowling for colombine”, vincitore a Cannes 2002 del premio per il 55° anniversario del Festival, il regista Michael Moore getta uno sguardo al paese che ha più armi da fuoco rispetto alla popolazione che televisori: gli Stati Uniti. Ricordando la tragedia della Colombine High School, avvenuta nel 1999, l’autore si interroga sui quali possano essere i motivi per cui l’America vive sempre di più nell’angoscia e nella violenza: è colpa della National Rifle Association, degli squilibri razziali interni alla società o è qualcosa di più profondo e radicato nella storia di questo paese?
E’ questo il terzo documentario di Moore, già presente a Cannes nel 1995 con la commedia “Canadian Bacon”, interpretata da Alan Alda e James Belushi.
A cura di Mario Bonaldi
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