hideout

cultura dell'immagine e della parola

Volare

“My soul is painted like the wings of butterflies
Fairytales of yesterday will grow but never die
I can fly – my friends” (The show must go on, Queen)

Il corpo umano: un organismo quasi perfetto. Senza pelliccia, artigli e zanne è stato in grado di dominare gli altri animali e la natura stessa, diventando protagonista assoluto del pianeta Terra. L’uomo è stato capace di fare tutto grazie all’ intelligenza, ma non sarà mai in grado di staccarsi dal suolo, di librarsi nell’aria senza l’aiuto di qualsiasi altra cosa che non sia il proprio corpo. In un certo senso siamo condannati al peso. Esiliati dalla leggerezza.
Forse è proprio questa leggerezza che inseguiamo, nel tentativo di liberarci da tutto quello che ci schiaccia e terra: accarezziamo il volo quando siamo felici, lo desideriamo disperatamente nelle avversità.

“L’assenza assoluta di un fardello fa sì che l’uomo diventi più leggero dell’aria, prenda il volo verso l’alto, si allontani dalla terra, dall’essere terreno…”. (L’insostenibile leggerezza dell’essere, Kundera)

Forse tutto quello che cerchiamo in questo gesto impossibile è la conquista di una distanza, di un incolmabile distacco dalle cose terrene, dalla pesantezza: la ricerca di un luogo da dove guardare con un’altra prospettiva o semplicemente il bisogno di dare le spalle a tutto il resto.

Sappiamo tutti la fine di Icaro: quasi lo abbiamo visto cadere miseramente, precipitare nel mare, più pesante di quelle stesse piume che prima lo avevano portato a tanto. Lo sappiamo, ma chi non è stato con lui in quel rapido gesto, in quella corsa verso il sole? Non so perché ma il mio Icaro ride, vola e ride di cuore, e grida. Non ha paura. Fino a un attimo prima era nel labirinto, non c’era speranza di uscire, c’era solo la fame. E ora invece stava lì, nel cielo, libero, molto più libero di qualunque attimo vissuto prima. Il mio Icaro si sentiva given to fly.

“Alone in a corridor, waiting, locked out.
He got up outta there ran for hundreds of miles.
[...]
The wind rose up set him down on his knee.
A wave came crashing like a fist to the jaw.
Deliver him wings, “Hey look at me now!”
Arms wide open with the sea as his floor.
[...]
He floated back down cause he wanted to share.
This key to the locks, on the chains, he saw everywhere.
[...]
And sometimes is seen a strange spot in the sky.
A human being that was given to fly.”

(Given to fly, Pearl Jam)

La chiave delle catene che vedeva dappertutto: qual è? L’amore? Non lo so, forse. Quello che so di certo è che non esiste altro brano che mi dia la stessa sensazione: l’illusione di volare. Ha un suono aereo, ha l’energia di una corsa a perdifiato, una corsa per spiccare il volo. Ti fa allargare le braccia e respirare a pieni polmoni: basta ascoltare e tutto si colora di azzurro, le nuvole passano veloci al tuo fianco. Non esiste più nulla, a parte tu e la tua energia: sei “a strange spot in the sky” come quello che ti sei lasciato alla spalle diventa solo un punto, una macchia confusa. Allora qual è la chiave per liberarsi dalle catene?
La musica.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»