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cultura dell'immagine e della parola

Oblio

Certe parole sembrano quasi svanire mentre le pronunci: oblio è una di queste.
Riesci ad intravedere, nella sua fluida sonorità, una rassegnata quiete che volentieri si alterna ad un’ immane inquietudine. Se poi pindaricamente ti spingi oltre, riesci ad assaporare la sensazione di un pescatore su di una barchetta, la cui stabilità è affidata totalmente a fameliche onde… Daltronde cosa si intende con oblio? Perchè talvolta si teme persino a nominarlo?
Se ci affidiamo al significato che ne dà Kundera, iniziamo ad averne quasi timore e attrazione al tempo stesso, proprio come se l’ autore riuscisse a schiudere un “paradiso perduto” all’ interno del linguaggio umano in relazione alla storia. E’ nel “Libro del riso e dell’ oblio” che emerge, in tutta la sua forza, la violenza che questa breve parola esercita nei confronti della memoria umana, quindi dell’ essenza stessa della sua storia: “E’ il 1971 e Mirek dice: ‘La lotta dell’ uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’ oblio’. ” Oblio visto anche come “credo” deviante rispetto alle responsabilità, non solo individuali ma collettive. Oblio come spietata scelta di distruggere il passato, assieme ai suoi molteplici sensi di colpa, per poter ripartire da una “tabula rasa”, senza implicazioni che pongano in dolorose “messe in discussione” il nostro essere presente rispetto a quello precedente.

“L’ assassinio di Allende ha rapidamente cancellato il ricordo dell’ invasione russa in Cecoslovacchia, il sanguinoso massacro nel Bangladesh ha fatto dimenticare Allende, la guerra nel deserto del Sinai ha soffocato il pianto nel Bangladesh, il massacro in Cambogia ha fatto dimenticare il Sinai, e così via, così via, fino alla più completa dimenticanza di tutto da parte di tutti”.

Codardia e leggerezza dell’ uomo che concorrono unanimamente alla sua stessa neutralizzazione, all’ oscuramento del suo stesso progresso, verso una direzione che, liberata da ogni possibile e precedente confronto, è destinata a naufragare su sponde future e vuote di storia e processi costitutivi fondamentali…
Se per Kundera l’ uomo nella sua gabbia di paure e debolezze della coscienza è destinato a ricercare l’ oblio in tutte le cose che appartengono alla sua breve esistenza, per Josephine Hart, nell’”Oblio”, è condannato a subirlo. La posizione particolare di questo libro è il fatto che la parola oblio sembra spaventare maggiormente i “morti” dei “vivi”. Dall’ oblio come negazione della memoria collettivo-individuale, all’ oblio come seconda e più crudele morte, a cui l’ uomo stesso inevitabilmente deve sottostare senza rivendicazione.

“Secondo me la morte ci serve due brutti scherzi: prima la morte fisica e poi la morte vera, l’ oblio, quando veniamo dimenticati. Dalla vita alla morte, dalla morte all’ oblio: entrambi tragitti brevi, signor Bolton. Eppure andiamo avanti non in una beata ignoranza… dato che la cosa è universalmente nota… ma in una cecità volontaria, o in un terrore infantile, o in una folle attività e nell’ ansia di accumulare quelle che consideriamo emblemi di salvaguardia… La fama, di certo, se tanti mi conoscono… Il denaro, di certo, se ho un valore… Il potere, se impongo la mia volontà… Forse Epicuro aveva ragione solo a metà. La maggior parte di ciò che facciamo nella vita non mira forse a sconfiggere la morte, ma a sconfiggere questo oblio vagamente intuito. Siamo, temo, congenitamente immemori. Immemori del fatto che saremo dimenticati”.

Forse, se si prescinde da questi due emblematici punti di vista, si potrebbe tentare una terza, forse semplicistica, interpretazione: solo il tempo potrà dire se abbiamo dato un contributo eccezionale; e se l’ opera resiste, avrebbe resistito anche se anonima.
Ma non mi convince molto. Lascio libera interpretazione.

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