Quando l’ironia esorcizza l’odio
Jake/Robert è un antieroe, romantico e ironico. Ti fa venire voglia di averlo accanto perché hai la netta impressione che ti migliorerebbe la vita.
E’ sempre una sensazione fantastica scoppiare a ridere con un libro fra le mani, leggere e sentirsi pieni, felici. Eureka street fa parte di questa categoria e Robert McLiam Wilson dà prova di essere non solo un abilissimo narratore, ma anche un uomo dalla splendida personalità.
Realismo e visionarietà, tragedia e commedia, nel suo libro troviamo diverse vicende che si intrecciano e si mischiano fino a perdersi nella più ampia storia di Belfast, vera protagonista di questo suo terzo romanzo. In mezzo alle bombe, le faide e gli omicidi traspira luminosa l’immagine romantica della città, talmente sentita dall’autore da conquistarsi un intero capitolo, tutto descrittivo, in cui si concentra la contemplazione di un miracolo di bellezza violenta e contraddittoria. Poche pagine e la povertà e la violenza cedono il passo a una città quieta, notturna apparentemente inoffensiva, poetica: barboni, quadretti casalinghi, polizia, terroristi, odio e morte tutto si amalgama e diventa carattere vivo, personalità. Lo sguardo dello scrittore vola per le strade silenziose e racconta una Belfast magica e inattesa: “è solo in piena notte, dall’alto, che la città sembra un’insieme organico, un tutto unico. […] L’intera superficie della città pullula di vita. Il terreno è reso fertile dalle ossa dei suoi innumerevoli morti. La città è uno scrigno di storie e racconti presenti, passati e futuri. È un romanzo». E ancora «I sonnecchianti mormorii di mezzo milione di persone si uniranno in un’unica sublime musica. Se riuscirete a sentirla, vi toccherà il cuore. Una città deserta alle quattro del mattino può raccontare tutto quanto si può imparare su questa terra. Notti simili e simili città sono il centro, il fulcro, il cardine attorno a cui ruota la nostra vita».
Sono i suoi cittadini, i “belfastardi” (come li definisce l’autore); a renderla quello che è. In loro sono contemporaneamente presenti una natura calda e ospitale e una belligerante. “A Belfast se entri in un cesso pubblico trovi sempre un vecchietto che ti chiede come stai e ti dice che gli ricordi un suo amico: non si direbbe, a vederci dall’esterno, ma siamo socievoli in modo quasi promiscuo.” Dice Wilson stesso in un’intervista.
Protagonisti di Eureka street sono il grasso Chukie Largan, protestante, e il magro e cattolico Jake Jackson, amici per la pelle e compagni di sbornie. Insieme ad altre inossidabili amicizie passano le serate al pub, e fra una birra e l’altra tirano le somme dei loro trent’anni e fanno progetti. Jake, che sotto lo scorza da duro è un inguaribile romantico, è alla ricerca di un amore che scaldi la sua esistenza; Chukie invece è interessato solo al denaro, e mentre il primo si innamora senza successo di tutte le donne che incontra, il secondo quasi senza farlo apposta si trasforma in una sorta di re Mida, grazie alla riuscita di alcuni progetti tanto mirabolanti quanto ridicoli. Insieme a loro incontriamo altri personaggi incredibili e davvero memorabili: sarà difficile dimenticare Max, la compagna americana di Chukie, soprattutto dopo la bellissima confessione in cui racconta il suo passato di eccessi e violenza; oppure Slat Sloane, socialista attratto solo da donne di destra; Roche, ragazzo violento abbandonato a se stesso con un gran bisogno di affetto; Aoirghe, fanatica repubblicana dal nome impronunciabile, e la madre di Chukie, che scopre a cinquant’anni i piaceri dell’amore saffico.
“Tutte le storie sono storie d’amore”, è questo l’incipit del romanzo, quasi un avvertimento, un messaggio, una speranza. E’ vero che le relazioni sentimentali sono un argomento cardine del romanzo, ma credo che l’autore abbia voluto dire qualcosa di più: del resto non è possibile ridurre questo libro ad un solo argomento. La storia spazia e trasmette qualcosa, un sentimento preciso di tolleranza e di democrazia, una ricetta a base di umorismo e ironia che si dimostra in grado di sanare i peggiori contrasti. Tutti i personaggi sembrano aver trovato un equilibrio nella straordinarietà, ognuno di loro potrebbe essere un paradigma utile per sopravvivere in una qualsiasi realtà di confine. Dichiara scherzando lo scrittore: “Si fa una bella fatica ad essere razzisti, e in Irlanda e’ particolarmente difficile: cattolici e protestanti sono uguali per aspetto fisico, per lingua, per abbigliamento. Per fare il razzista a Belfast bisogna alzarsi molto presto la mattina, e concentrarsi al massimo”. E noi vorremmo davvero che tutti la pensassero come lui.
L’autore nasce a Belfast, nel “west di West Belfast”, in un quartiere popolare e cattolicissimo. E’ il 1964. Si racconta che sua madre l’abbia cacciato di casa all’età di quindici anni perché avrebbe avuto la malsana idea di innamorarsi di una ragazza inglese protestante. Il retro della copertina del libro però non si sbottona e dice: ”viene abbandonato dai genitori all’età di quindici anni.” Di sicuro non ha avuto una vita facile. Povero, con un padre alcolista e violento (“Mio padre pensava che Hitler avesse una giusta idea sugli ebrei”); a sette anni viene portato di forza dallo psicanalista perché rubava – e leggeva – Stendhal, Thackery, George Eliot, e altre letture considerate troppo “precoci”. Dopo la separazione dai genitori pare abbia vissuto per otto mesi da barbone dormendo nel parco di un castello, mentre frequentava la scuola (in questo caso non bisogna perdersi le vicende del barbone acculturato, protagonista del suo primo libro). In seguito lascia gli studi per dedicarsi completamente alla scrittura. Poi un giorno in libreria incontra Mary Ann, le chiede un’informazione e cinque settimane dopo si sposano. I miracoli dietro l’angolo! Robert e Mary Ann sono tutt’ora sposati e vivono a Belfast. C’è un’ultima cosa da far notare. Il vero nome dello scrittore è Robert Wilson, ‘McLiam’ non è altro che la traduzione gaelica del cognome ‘Wilson’ che vuol dire “figlio della volontà”. La scelta di porlo fra il nome e il cognome veri non è casuale: in questo modo Robert possiede un cognome irlandese e uno inglese.
Ha pubblicato: Ripley Bogle (Garzanti, 1996); Manfred’s pain ed Eureka street (Fazi, 1999).
A cura di Francesca Arceri
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