Tenebre dell’Apocalisse
Impossibile non uscirne turbati.
Impossibile non sentire il morso, la fine della coda del serpente, il fiume da navigare, l’ultimo ponte di Dorang.
Impossibile dividere lettura e immagini.
Impossibile non ascoltare il “proprio punto di rottura”, camminare sulla lama, non sentire l’odore del Napalm.
Impossibile non conciliare le differenze fra parola scritta e gli elicotteri che circolano sopra il tuo orecchio, eppure, allo stesso modo sembra ardua la strana impresa della propria mente di cancellare quel doppio odore malsano in Kurtz-Marlon Brando che si vede e non solo si ipotizza, o in Kurtz-Conrad che non si conosce, che è solo nebbia, che è un’ombra ad una stazione.
Impossibile non dire che “la verità è troppo nera da dire”, anche quando Marlow (protagonista di “Cuore di tenebra”) sente sempre gridare il nome di Kurtz, mentre Villiard (Martin Sheen) percorre foto, diplomi, attestati e sente di essere quasi arrivato in “quel buco del culo del mondo” verso cui è incosciamente chiamato.
Marlow però è solo un commerciante di avorio.
Villiard deve trovare il colonnello che si è ribellato.
Entrambi navigano in un percorso impossibile, tra una linea di confine e un divagare sempre più appannato, più deteriorato, verso un senso comune, unico, umano, primitivo.
Più si va avanti, più la coda del serpente si avviluppa e tutto sembra l’inizio morente del mondo, il caos.
Passato il ponte di Dorang, tra fuochi d’artificio e acqua putrida e pesante tanto da rendere difficile il movimento ai soldati, tutto, dalla fotografia arancione all’acqua che scava la poppa con facilità, tutto pare nuovo e vicino, aperto verso chissà cosa, ma anche finito, morente ma soprattutto diverso dal salto temporale di Conrad, che riguarda le foto, imborghesito, colonializzato, anche se cambiato.
Forse non c’è trasposizione, forse c’é. Personalmente penso che Conrad e Coppola siano uniti da quella ricerca che ti fa “essere dentro” mentalmente, ma consciamente “al di fuori”, sollecitandosi verso nessuno schieramento, ma con una tensione nervosa che inizia con “The end” o con le parole di Marlow, e che finisce forse dentro le nostre illogiche idee, schierandosi così con la frase “la sua morte è il coronamento della sua vita”.
Può essere che una logica fine come quella dei sensi, della vita sia in realtà una illogica partenza verso un’ipotetica verità?
L’atmosfera in realtà pare alquanto diversa, a volte.
Conrad unisce le tenebre come concetto di una visione negativa del colonialismo; Coppola invece prende sotto esame il disprezzo del Vietnam, di un’America che ha il trauma del rimosso, dell’angoscia della sconfitta.
La fine è l’orrore, lo stadio primitivo delle cose. Killgore dice di “ritornare allo stadio primitivo della pietra”, Villiard sente “dentro un’odore di morte lenta, di malaria, di incubi… era senz’altro la fine del fiume”, la fine della ricerca.
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…é impossibile trovare le parole per descrivere ciò che è necessario a coloro che non sanno ciò che significa l’orrore(…).
Heart of darkness, Joseph Conrad; (1902). Edizione italiana: Cuore di tenebra, Einaudi (1999)
Apocalypse now, Francis Ford Coppola (1979)
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A cura di
la sottile linea rossa ::