Parabole sul corpo
Coma. Tumore.
Stupro. Sesso per soldi.
Su un materassino da palestra sono stampati esercizi di ginnastica. Una partita a Twister dove i disegni ci dicono dove muovere il nostro corpo.
Due corpi. Due corpi.
Parabole sul corpo. Corpi parabolici.
I multiplex sono dei cinema con tanti cinema dentro, matrioske di cinema che proiettano esplosioni, aeroplani incendiati, divi che si baciano in cinemascope.
Noi intellettuali che scriviamo questi articoli cervellotici storciamo il naso davanti a queste matrioske e andiamo nei cinema stretti pieni di scomode poltrone in legno, con l’audio monofonico che lancia problemi e primi piani di occhi in sedici millimetri sottotiltolati in polacco.
Almodovar, ormai famoso, sa di avere il suo pubblico e i suoi fans e sa di avere la fortuna di avere gente che va al cinema solo per andare a vedere “l’ultimo Almodovar.” Insomma, sa che il suo film va alla gente.
Io ho un amore particolare per i film dei multiplex che hanno delle pretese, didattiche, autoriali o didascaliche che siano. Il vero cinema è quello del multiplex che ti fa uscire dalla sala il maggior numero di persone con la testa un po’ diversa da quando è entrata. Prendiamo “Fight club”, ad esempio, dove la gente dei Pop Corn si scontra con chi gioca a fare il malato terminale, si schianta contro un film dove ci si prende a pugni fra le parole Tumore e Ikea.
Almodovar rientra in queste scelte e il suo ultimo film è bello come la schiena di una ragazza dai capelli rossi. E non è un paragone fine a sé stesso, per nulla, perché non è non solo storia ma una lettura sui corpi.
Nel film ce ne sono due: quello magro di una torera, statua nervosa senza seni, un corpo vibrante che danza violenza stretto in un vestito luccicante. Un corpo che viene distrutto tagliato calpestato insanguinato e finisce in coma per il resto del film, resta una bocca piena di cicatrici, resta solo fisico e poi muore.
L’altro corpo è carne pura ed è un altro corpo in coma. Viene lavato e pulito, ha le mestruazioni, ci mostra il seno ma per noi è come vedere un barattolo vuoto di vetro pulito perchè è tanto caldo e carnale nella sua forma quanto svuotato di sessualità nella suo stato anormale di quasi morte.
Era un corpo che danzava, il ballo che fa commuovere e in cui il corpo è tutto, corpo che è destinato a essere violentato e a partorire ma partorirà un corpo morto e tornerà in vita.
Così, quando sono uscito dal multiplex lucido di multinazionali ero pieno di sensazioni e pensavo a quanto la sua struttura mi ricordasse un altro splendido film, “Guardami” di Ferrario, che ha fatto parlare molto ed è stato visto troppo poco.
Anche qui i corpi malati sono due e uno è destinato a morire. Qui al posto della ballerina c’è un altro corpo che non balla, o forse sì, scopa, è un corpo che fa i film porno.
Il corpo che si ammala è qui un mezzo di scambio e di piacere, perde il suo valore di persona e diventa un contenitore di carne che viene fermato in fotografie.
Danza e corrida in Almodovar, e attrice porno in Ferrario sono le situazioni analoghe di partenza, analoghe nell’uso del corpo solo che Ferrario è più estremo, alterna momenti di poesia e bellissimi movimenti di camera con scene esplicite e forti che ti colpiscono a pugni la pancia. Il sangue di Almodovar è sì latino e caldo ma è più sognante e indiretto; lo stupro è autocensurato da un corto in bianco e nero in cui il sesso femminile è una posticcia caverna in gommapiuma.
In Ferrario no.
Lui ce lo sbatte in primo piano. Grande, bagnato, ondulante.
Non per questo Almodovar addolcisce la pillola, non fa certo un film da Patatine e Cola. I suoi corpi sono violentati da un paio di corna o da un auto in corsa, si rompono e si spengono pian piano.
Guardami, parla con me.
Il mio corpo si sfalda, si deteriora, si sporca si riempie di polvere di imperfezione, basta una disattenzione per perderlo, come se bruciasse in una vampata di fuoco e nitrato d’argento.
Quello che portava piacere, morte o arte perde la sua carica e si inabissa nei bianchi degli ospedali e nei trasparenti delle flebo. I corpi di donna, fatti per portare la vita sono pieni di nero buio.
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L’infermiere è tranquillo, pulisce e lava il corpo bellissimo come un barattolo vuoto di vetro pulito.
Ho visto un film, stasera, c’era una donna scienziato che cercava la formula per dimagrire e questa formula la beve un corpo di uomo che diventa così piccolo che una nott
Il corpo e la pelle in bianco e nero riempiono lo schermo con i loro pori e le loro forme, un altro corpo piccolissimo ci rotola, finisce fra le sue gambe davanti al suo sesso, ci gioca, le esplora stupito, sco(m)pare al suo interno.
Primi piani del volto di lei, le labbra scure.
Sono due malati terminali di cancro e si amano. Capisco che lui morirà, lei è quella che fa i film. Ho visto pompini cazzi seghe anallight per tutto il film e nella scena più porno di tutte non vedo niente e voglio abbassare gli occhi. I loro corpi sono quasi morti ma fanno l’amore sotto il lenzuolo e la macchina da presa non stacca.
Un set di un film porno su una spiaggia. Una puttana, stereotipicamente volgare quanto vuoi, espone la sua pancia di mamma al sole. Il corpo sopravvisuto al cancro si avvicina alla pancia, ci si appoggia, chiude gli occhi o guarda lontano.
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