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cultura dell'immagine e della parola

Binario

È morta Anna Karenina…

Se dovessi cercare un numero perfetto, muoverei le dita all’infinito per contare e ricontare e sentire il fruscio dell’aria e i movimenti dei numeri che girano attorno. Poi mi girerei indietro e scoprirei di essere nell’ultimo vagone di un treno, molto veloce.
Mi giro indietro, dicevo, e fisso gli occhi sui binari che, in realtà, sono due. Ho trovato il numero perfetto per il mio viaggio e vado a sedermi su una semplice poltrona rosso sporco del vagone.
Scorrono i binari ancora.
I binari sono il viaggio, i binari, il ferro e il colore acciaio, i binari sono la morte.
La morte perché ora, seduto intorno a individui sconosciuti, in troppi urlano “è morta Anna Karenina”…
Pulisco il finestrino sporco di vapore, bagnandomi le mani, ma vedo poco, se non folla, urla e un pianto nell’aria soffocante… poi sento, e mi pare quasi di leggere:

“È il lume che rischiarava per lei il libro della vita, pieno di affanni, d’inganni, di dolore e di male; e d’una vampata più viva che mai, illuminando ai suoi occhi tutto quello che prima era avvolto nelle tenebre; poi crepitò, tremolò e si spense per sempre”

Anna che ho letto per giorni anche su binari, Anna che ora ritrovo qui, con il sapore di sangue su questo convoglio.
Ne parlo con il mio sconosciuto compagno di viaggio che sembra impietrito, ma anche tranquillo nella sua lettura.
Anna è un binario, Anna è stata una lettura in una direzione, verso quella meta che forse è già delineata nella mente. Non a caso Tolstoij inizia con la frase:

“a me spetta la vendetta e sarò io a ricompensare”

ed è quello il binario che io ho intrapreso. Ho incominciato a vedere il convoglio verso il quale mi portava.
La luce di un autore che quasi sembra vicino a me, qui seduto, che legge la sua storia. Mi guarda e io vedo quei due ferri nel cemento, lo guardo e vedo Vronski, l’amante di Anna, che si spara; Karenin, il marito, che si sente precipitare in un abisso; e Levin, altro personaggio, fermo come una barca in un mare senza vento.
È questa sensazione di blocco, di paura per le proprie colpe, di paura del futuro, di lacerazione fra l’essere e quello si vuole, che diventa il perno, il binario di questa lettura.
E tutto finisce, su quel binario con:

“castigherò lui e mi libererò da tutti e da me stessa”.

Il treno riparte, e non riesco a pensare ad altro, poi mi disturba il rumore di quest’uomo davanti a me, che tocchiccia un computer, e tutto quel marchingegno sembra che mi dica con il suo linguaggio:
010101010101010101010101101010101010101010101010101010101010101010101010101010

Non importa, sono io ora il binario, sono io ora su quel treno che vi sposta verso “I trenta secondi dalla fine”.
Sto parlando di un film di Koncalovskij del 1986, Runaway train.
Evasi da un carcere di massima sicurezza, in un paesaggio selvaggio del gelido nord, Manny e Buck, aiutati da una ragazza, Sara, si ritrovano in un treno che si mette in moto senza conducente, non riuscendo a evitare il deragliamento.

Perché mi ricordo ora questo? Semplicemente perché il vero protagonista lì è un binario sbagliato, un binario ghiacciato che porta alla rovina e alla disfatta di una complicità non riuscita, di quel binario che non viene cambiato, di quel binario che è l’impronta della loro fuga, la testimonianza certa che Ranken, il sovrintendente del carcere, non potrà essere seminato.

Altra e ultima immagine sfuggente del mio occhio è il piede di Bjork, protagonista di Dancer in the dark di Lars Von Trier.
È una figura fissa di lei, cieca, che cerca il percorso verso casa trasformando il binario in un senso capace di condurla come strada verso l’infinito panorama.
È in questo passaggio, in un’atmosfera onirica dove lei balla e canta in una campagna americana, dominata dal sole, che blocco il mio fotogramma.
Ancora qualche secondo e unisco un altro fotogramma che la coglie sorridente a osservare e ridere di quel binario che è passato, con una domanda negli occhi che ha il sapore del “non-so-dove”.

Prospettiva dell’acciaio, prospettiva dell’ultimo sguardo verso la sua caduta inevitabile.

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