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La fine di un mondo

La fine di un mondo

Mantova, 30 Novenbre 1526: il portone di una chiesa si apre e assieme alla luce abbagliante del giorno entra nell’edificio la salma di Giovanni dalle Bande Nere. Inizia e si conclude così “Il mestiere delle armi”: un’ immagine suggestiva che esplicita la circolarità narrativa del film. Una circolarità che sembra rappresentare una spirale nella quale rimane vittima questo condottiero, assurto da Olmi come ultimo simbolo e martire di un mondo di valori che sta per essere spazzato via dalla Storia.
Sembra infatti che il regista abbia voluto rappresentarci il trapasso storico tra un Medioevo portatore di valori cavallereschi e un’epoca Moderna in cui la macchina, la tecnologia e il denaro sembrano aver preso il sopravvento su ogni azione umana. Emblematica di questa idea di fondo è la precisione chirurgica con cui Olmi accompagna la fusione e la succesiva messa in opera del cannone o la splendida sequenza dell’imboscata e quindi dell’inganno subito da Giovanni.
“I danari sono il verbo della guerra, più della politica”: questa frase di Macchiavelli che nel film viene pronunciata da Pietro Aretino, amico e consigliere di Giovanni, sembra paradimatica di tutta la vicenda: il tentativo vano di un uomo rimasto solo, sia fisicamente che moralmente, di contrastare la discesa in Italia delle truppe di Carlo V che s’infrange contro gli accordi tra i meschini e avidi regnanti degli stati italiani e l’esercito “alemanno” stesso.

Colpisce la perizia e la raffinatezza con cui è stata ricostruita l’atmosfera dell’Italia del ’500: la scelta dei volti è straordinaria, come la scenografia e i costumi. Una fotografia fredda ma assolutamente perfetta (del figlio del regista) accompagna uno stile di regia controllatissimo: pochi e lenti movimenti di macchina, inquadrature costruite, che negli interni delle corti trasfigurano quasi in dipinti di Paolo Uccello o del Mantegna, sembrano volerci riportare ad un mondo lontano caratterizzato da ritmi di vita, rapporti interpersonali (vedi l’uso dell’italiano antico) e condizioni di vita (il freddo inarginabile e la medicina sterile di fronte alla ferita di Giovanni) ormai fissate in un passato diventato Storia.

Un film da vedere al cinema assolutamente, per cogliere ogni sfumatura, ogni gradazione di colore e ogni fisionomia al meglio. Un film forse non facile per il suo ritmo a volte lento e quasi “congelato” ma ricchissimo di spunti su cui riflettere: la storia, il rapporto tra l’uomo e il potere, tra l’uomo e Dio e quindi tra l’uomo e il mondo nella sua complessità.

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