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Il fragore dei corpi

Il fragore dei corpi

L’acqua tiepida che dà il titolo a questo film scorre davvero sotto il menzionato ponte rosso; si unisce al fiume sottostante sgorgando dal canale di scarico di un grande casa scura, situata proprio a ridosso del ponte. Risalendo a ritroso il percorso di quest’acqua tiepida scopriamo che essa ha origine nientemeno che da una donna, che ha la capacità straordinaria (nel vero senso della parola!) di accumulare in sé una quantità d’acqua incredibile: quando ne è letteralmente piena deve liberarsene facendo all’amore con un uomo: e maggiore è il godimento, maggiore è il volume d’acqua prodotto. Ne consegue grande accumulo di pesci nel punto di scarico dell’acqua, e grande bottino degli increduli pescatori.
Questo elemento surreale, la donna produttrice d’acqua, è il punto principale intorno a cui ruotano tutte le vicende di questa pellicola di Shohei Imamura, anarchico regista nipponico.
Un uomo di nome Yosuke, che ha appena perso moglie e lavoro, seguendo il consiglio di un vecchio amico, morto da poco, si reca nella provincia di Noto alla ricerca di un tesoro, una antica statua d’oro raffigurante Buddha.
La statua dovrebbe nascondersi proprio nella casa posta accanto al ponte, ora abitata da una vecchia matta e da sua nipote, pasticcera. Costei è la suddetta donna-idrante. L’uomo incontra la donna, se ne innamora. La sua vita di modesto impiegato cambierà completamente.
L’ultrasettantenne regista celebra con quest’opera il sesso, l’unione vitalistica dei corpi, l’amore per la giovinezza e la freschezza di chi può (e deve!) amarsi come bisognerebbe, con gioia, entusiasmo, abbandono totale dei sensi. L’acqua tiepida prodotta della donna non è altro che l’emblema di questa forza naturale, la forza che muove i venti e i mari, che fa infrangere le onde sugli scogli con altissimi spruzzi.
Il più grande cruccio del “filosofo”, l’amico morto di Yosuke, era quello di avere perso la “prestanza” di un tempo, la potenza amatoria. “Hai poco da dire, una volta persa quella, sei morto.”
Esiste un atto d’amore per il sesso più concreto di questo? Il fragore prodotto dai corpi di due amanti è la musica che deve fare da sottofondo all’esistenza, l’uomo non deve dimenticare di essere tale, un uomo fatto di carne e sangue, non deve lasciarsi trascinare nel meccanismo deprimente e alienante della vita moderna: deve amare, e godere, finchè può, senza pudori, senza ipocrisie. Il sesso è vita. E’ natura. Il resto è corollario.
Lo sviluppo del film, specie la seconda parte, non convince del tutto: la trama si ingarbuglia, alcuni passaggi rimangono un po’ vaghi. All’uscita dal cinema forse la prima sensazione è la perplessità; nondimeno il messaggio che Imamura ci manda con questa pellicola è entusiasmante. La sua celebrazione del sesso ha la potenza dell’ingenuità; egli dice le cose pane al pane, senza fronzoli o abbellimenti concettuali. Sembra dire: cosa andate cercando così freneticamente? Il segreto, il tesoro è tutto lì, basta prenderlo…
Questo vecchio umanista, come il vecchio “filosofo” del film, dall’alto della giovinezza perduta, ci manda a dire tramite il fragore dei corpi che l’uomo che dimentica la natura perde la felicità.
Bisogna dire che ricevere tale lezione da un uomo giunto a quella “tanto picciola vigilia / de’ nostri sensi ch’è del rimanente” da una parte forse è giusto. Dall’altra però dà quantomeno molto a cui pensare. Ci si sente più vecchi di lui.

Note: In concorso al Festival di Cannes 2001.

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