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Il messaggio è l’amore

Il messaggio è l'amore

Questa volta sono due angeli a sorvolare l’umano, là dove il regista in prima persona si pone come piccolo animale razionale limitato: uomo .
Uomo che racchiude e sussume in sé l’umanità e la sua storia, ma non è in grado da solo di parlarne. Il film allora incede (dopo l’esperienza de “Il cielo sopra Berlino”) da un’inquadratura aerea, da un primo piano angelico, quello di un uomo, Cassel (Sander) e una donna, Rafaela (Kinski); entrambi affascinati e malinconici di fronte o al di sopra del mondo che vive, pulsa, scorre. Cassel e Rafaela parlano da subito agli uomini come “messaggeri”, voci fuori campo e fuori dal tempo che scandisce l’umano vivere. Questi due singolari esseri, sospesi con tutta la loro leggerezza, da lontano avvertono la pesantezza di quello che è diverso dall’essenza angelicata che li costituisce, odono i pensieri delle persone che camminano, respirano e cantano per le strade.
Arrivano a fruire addirittura di una sorta di “flusso di coscienza” dell’illustre Gorbaciov, smascherato da una telecamera che legge nel suo cuore la misera e limitata condizione di uomo. Dunque, con veloci carrellate che si introducono in ogni dove e in qualunque pensiero o stato d’animo, Cassel e Rafaela sembrano porgere sempre più attenzione, con ritmo crescente, a stabilire una connessione empatica con un’umanità apparentemente così distante.
Entrano in scena vari personaggi, la cui entità è difficile da afferrare, sembra che sfugga come tutto quello che li circonda, comprese le loro stesse esistenze. Prende avvio velocemente un tuffo angelico nell’inferno di banalità e vuotezze umane, tra persone alla ricerca di un’identità, altre coinvolte in una personale sfida alla memoria che sembra vacillare e cedere il posto all’oblio.
Non importa essere un pizzaiolo o un gangster, nemmeno un cantante famoso come Lou Reed che, con un efficacissimo primo piano si esibisce cantando: ”Devo prendere appunti… quel verso bellissimo di ieri sera l’ho dimenticato… come faceva? Ma cosa ho fatto ieri sera?!” Ma nemmeno il tenente Colombo/Peter Falk sembra essere più certo di quello che lo circonda. Nessuno lo è. Siamo tutti vuoti. Non c’è differenza neanche tra un acrobata di strada e un anziano chauffeur che anni prima serviva i nazisti… entrambi sono in equilibrio su di uno spinoso filo vitale in cui il primo tentenna con il suo corpo tra il vuoto, il nulla e il suo essere, e il secondo che oscilla per mezzo di flashback tra il misero e solitario presente e un passato divorato dall’oblio, di cui il tempo è padrone incontrastato.
Tutto è solitudine. Non c’è tempo per ascoltare l’altro; un tempo l’uomo ascoltava le voci del suo cuore, ora l’unica attenzione data è alle immagini, che producono bugie. E l’uomo solo a queste presta fede. Questo spinge Cassel a farsi uomo, forse per meglio avvertire quello che scandisce la vita che lui può solo osservare, ma di cui non può sentire l’essenza costituente nella gioia e nel dolore.
Il tempo nell’angelo non c’era, ora che è uomo lo avverte come un violento schianto. Sì, odori, colori, freddo, caldo, voce, luce, ma tutto più veloce, quasi inavvertibile, una continua lotta contro lo scorrere del giorno e della notte, una tensione lacerante tra l’essere vivo e senziente e sentire che il tempo trascina tutto e poco lascia cogliere di ogni istante vitale. Cassel incrocia quasi in maniera visionaria e surreale l’avvicendarsi umano che, grazie all’incontro-scontro dei vari personaggi durante il film, crea a sua volta una trama parallela e sotterranea alle singole vite presentate.
Insomma, spezzoni di vite diverse, lontane tra loro, che un deus ex machina sembra voler unificare, per plasmare simbolicamente un mondo dove l’identità personale è solo eidetica, formale, vuota di contenuti, per questo così intercambiabile e multiforme. Dietro la vuotezza individuale però, si cela un’umanità spaventata da un subconscio che talvolta parla e si pone delle domande: cos’è l’identità?
Senza identità qui non si è nessuno. Anche se è Cassel a dirlo, ora egli parla (a metà) da uomo e presto si fa portavoce delle pene che il cuore ogni giorno, in una qualunque vita, deve sopportare; della mancanza di tempo per rivolgere la propria essenza ed applicarla in uno spazio, prima che perda di spessore e si tramuti in una vacua immagine. Cassel percorre gli stati d’animo che prima da non-umano assaporava lievemente. Ora, nel mondo ricco di solitudine in cui si è calato, nessuno guarda quello che accade nell’altro, non c’è senso neanche nell’intenzionalità della sua missione: come vedono e sentono gli esseri umani? Cosa c’è dietro?
E’ sparito tutto. Cassel non avverte più il “respiro dell’eternità”… non c’è più nulla che sospinga gli uomini ad un oltre , un al di là di … ma solo l’ora , l’adesso svuotato e privato di ogni contenuto, asservito ad un tiranno crudele che divora ogni singolo tumulto vitale, il Tempo .
Da ex angelo, Cassel tenta di fare del bene, di essere buono, di compiere azioni buone. Ma non riesce. E’ la vita stessa che si schiera contro l’uomo, è un sotterraneo meccanismo di autodistruzione che fa vibrare l’animo umano fino a sfinirlo e privarlo anche della sua memoria. Non bastano i flashback per continuare ad amare la vita, tenere in considerazione il suo valore, perché sulla terra “è possibile andare all’inferno senza aver voluto il male e senza nemmeno averlo riconosciuto…” E se lo si riconosce che cosa si può fare?
La tragica consapevolezza di Cassel è che nemmeno lui può deviare la ruota maledetta in cui ognuno è destinato a trovarsi, rallentare il divoratore del senso della vita quale è il tempo e insieme colmare quello che di naturale e istintivo l’uomo porta in sé, cioè la perenne e insoddisfatta tensione a qualcosa che viene ricercato, ma nella direzione sbagliata – quella del buio, non della luce. Quest’ultima percezione viene avvertita come contraddizione interna: odio verso il non-senso umano e amore per questa stessa non-percezione di sé e dell’altro.
Sullo sfondo di una Berlino ripresa magistralmente da Wenders, lo spettatore dimentica però di vedere immagini di una città reale, coinvolto in un vortice emozionale surreale e allucinatorio,quale quello con continui cambi di luogo, da spazi bui, che sembrano voler rappresentare la condizione in cui tutti siamo confinati e destinati a vivere, all’infinità aerea di un cielo cangiante, volutamente dinamico, dove le nuvole si susseguono in danze acrobatiche e slanci che ci fanno invidia, ricordandoci la statica vacuità a cui siamo abbandonati…
Cassel riesce però infine a compiere la “buona azione” e a “salvare” l’uomo, sacrificando la sua momentanea umanità. Ritorna angelo e con Rafaela (che silenziosamente l’ha seguito ovunque) dedica parole intense a tutti gli uomini, chiudendo un cerchio che si era aperto all’inizio del film: ”Voi che noi amiamo, voi non ci sentite, ci credete così lontani… eppure siamo così vicini. Noi siamo i messaggeri, non il messaggio. Il messaggio è l’amore. Noi non siamo niente, voi siete il nostro tutto. Lasciateci vivere nei vostri occhi, guardate il vostro mondo attraverso noi, riconquistatelo attraverso noi, allora saremo vicini a voi e voi a Lui!”

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