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cultura dell'immagine e della parola

Strada

La lentezza e la velocità con cui si percorre una strada sono quasi suoi stessi attributi, proprio come i pensieri che ad essa leghiamo mentre la calpestiamo e scorriamo.
E’ vero: strada è terra, cemento, sassi, erba, ma la sua “bidimensionalità” trova le proprie radici anche in altri concetti che possiamo associarle non usando solo la vista, ma unendo i nostri sensi all’ anima.
Ecco che, improvvisamente, la parola strada si allontana dalla spazio-temporalità della sua abituale ubicazione mentale per raggiungere luoghi misteriosi, obliati dell’ anima e ricondurci lì, dove forse abbiamo lasciato qualcosa del passato, talvolta noi stessi. Non è poi difficile pensare di abbandonarsi all’ idea che una parola che riesce a ricondurci sulle orme di quello che “siamo stati”, non possa altrettanto stimolare la proiezione di paure e desideri circa quello che “non siamo ancora” adesso, ma che diverremo.
Ripercorrendo con Kerouac “On the road”, il visionario mondo della beat generation, la strada costituisce in maniera esemplare ciò che di astratto nasce dalla concretezza del mondo, acquisendo l’ immensa portata simbolica della ricerca esperienziale ultima, nel mondo e fuori da esso, nella realtà e nell’ allucinazione.
Anche nei “Vagabondi del Dharma”, si erra lugo ed attravarso di essa. Qui la strada coincide con la parola uomo, la sua limitata fisicità e il suo infinito bisogno di capire il mondo, viverlo fino all’ ultimo respiro. Strada come percorso CORPOREO, che prova i sensi fino a stordirli, stupendoli, terrificandoli, ma anche come sentiero dell’ anima confusa, colma di incertezze e vitalità al tempo stesso, che giunge in salita, attraverso molteplici ed invisibili passaggi alla coscienza di sè e alla conoscenza della bellezza che appartiene alla natura come all’ uomo.
Oltre alla strada kerouachiana, quella della religiosa ed intimistica riscoperta della spiritualità, si può essere attratti dal richiamo delle forze oscure che pulsano dentro ognuno, quando si perde la propria direzione o l’ identità. E’ in questa sfumatura che il film “Lost higways” (Strade perdute) di Lynch afferra la parola strada e la stravolge, applicandola, in un contesto di apparente NON-SENSO, al ruolo che nell’ uomo hanno la memoria, l’ oblio, l’inconscio, facendola risaltare come perfetto simbolo dell’ umana volubilità di fronte a determinate scelte, per prima quella della strada da scegliere, che, una volta intrapresa, definirà significativamente ogni azione, pensiero, desiderio.
Quindi, sia come simbolo di percorso finalizzato alla forma più elevata di spiritualità, o come incarnazione della demoniaca debolezza insita nell’ anima umana, la strada rappresenta e riflette le variegate possibilità dell’ esistenza e il suo intrinseco rischio di smarrire o confondere la sua stessa essenza.

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