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Tutti e nessuno

Tutti e nessuno

Daniel Balint (Ryan Gosling) è un giovane dotato di grande intelligenza; ha carattere, personalità, carisma. Sa parlare in pubblico con disinvoltura, ha notevoli capacità oratorie. I suoi occhi sanno esprimere la dolcezza. Danny è un neonazista; ed è ebreo.
Il protagonista di “The believer” è un personaggio dostoevskiano: rappresenta il demone, il giovane che ha perduto ogni legame con le sue radici, con quella che lo scrittore russo chiama la “terra”: è una sintesi tra Raskol’nikov, il protagonista di “Delitto e castigo”, e Stavrogin, il personaggio principale de “I demoni”. Come il primo perde se stesso perché fa della ragione l’unico criterio di interpretazione della realtà, trascurando la fede; ma è con il secondo che Daniel mostra le maggiori affinità. Il personaggio creato da Dostoevskij è un giovane di grande fascino, capace di compiere i delitti più efferati come i gesti più magnanimi, senza trarne alcuna soddisfazione. Stavrogin è un nichilista, la cui mente è attraversata da pensieri contraddittori, che egli non sa vivere sulla propria pelle. In questo modo, grazie al suo carisma, il giovane rende ogni altro personaggio del romanzo un’emanazione del proprio spirito: in questo modo “creerà” Kirillov, totalmente ateo, e Stanov, credente assoluto. Stavrogin svuota se stesso negli altri: a lui non rimane nulla. Stavrogin nel romanzo è tutto: e non è nessuno.
Le simmetrie della pellicola di Henry Bean con questo libro saltano agli occhi. Daniel è ebreo, e lo nasconde: prima di tutto a se stesso. Con lo scorrere delle immagini, con lo svilupparsi della vicenda, ci si rende conto che la sua scelta di aderire all’ideologia nazista è sì paradossale, ma non è così assurda come verrebbe da pensare. Sembra quasi che Daniel sia nazista per troppa fede. Tuttavia l’autore confonde continuamente le carte, quando crediamo di avere compreso qualcosa della mente di Daniel subito tutto viene rimesso in gioco. Il passaggio del protagonista da un estremo all’altro fa pensare quasi a uno sdoppiamento di personalità, a una sorta di schizofrenia.
Come Stavrogin, Daniel mostra un diverso lato della sua natura con ogni persona che avvicina: a Carla (Summer Phoenix) egli insegna a leggere l’ebraico e i rituali religiosi di quello che dovrebbe essere il suo popolo. Contemporaneamente, con un altro neonazista progetta di metter bombe dentro le sinagoghe. Come Stavrogin, Daniel vedrà gli altri ispirarsi alle proprie idee; concetti espressi magari solo per leggerezza, senza convinzione ma che portano a conseguenze inimmaginabili. L’uomo che ha perso le proprie radici, l’uomo che vive mille identità senza averne una precisa, definita, non sa essere responsabile delle proprie azioni, non è in grado di pensare che di ogni atto che noi commettiamo, di ogni parola che esce dalla nostra bocca dobbiamo rendere conto di fronte agli altri, prima che a noi stessi. Il delitto che nel film viene commesso nasce da un idea di Daniel, ed egli, pur senza esserne l’esecutore materiale, ne è il responsabile.
Il protagonista rimane colpito dal racconto di un vecchio uomo ebreo, che ha visto morire sotto i suoi occhi il figlioletto, assassinato da un soldato tedesco durante gli anni della persecuzione nazista. Daniel rivive quel sogno continuamente, raffigurando se stesso nel duplice ruolo del padre e del carnefice. Daniel non sa più chi è: perdendo il proprio popolo, le proprie radici ha perso la propria identità. E chi si perde diventa un pericolo per sé e per gli altri, diventa un fantoccio che si muove freneticamente, perché non sa dove andare, perché le forze opposte che lo tirano non possono portarlo da nessuna parte, possono solo distruggerlo, dilaniarlo. Daniel come Stavrogin, Daniel come Raskol’nikov, Daniel come l’uomo del sottosuolo, che vive di pulsioni contraddittorie, irrazionali. Daniel è un believer, ma invece di credere e accettare la fede e i suoi enigmi egli la investe di una fredda luce da sala operatoria, la disseziona cercando quello che non può trovare. A lui, come agli altri demoni che perdono le proprie radici, manca l’umiltà di accettarsi per quello che si è.
Come il personaggio del romanzo di Dostoevskij, il protagonista di questo film è tutto. Parlare di “The believer” è parlare di questa figura magnetica, affascinante, disgustosa, intensa, sconvolgente, patetica, oscura, enorme. Umanissima, ahimè.

Note: Vincitore del Gran premio della giuria al Sundance Film Festival 2001, rassegna di film indipendenti ideata da Robert Redford nel 1985, e del Noir In Festival.

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