Le piccole meraviglie
Immaginiamo che esista una Fata Turchina che sappia regalare la felicità a chi ne ha bisogno. Una fata però che non ponga condizioni, che non faccia notare le proprie buone azioni. Oppure un folletto, dispettoso con chi se lo merita, che per hobby si occupi di modificare segretamente la vita degli altri, dando quel colpetto che al momento opportuno fa andare le cose nel verso giusto.
Amélie (Audrey Tatou) vive in un mondo fatto di piccole sensazioni, piccoli piaceri. Come immergere la mano in un sacco di legumi, ad esempio. O mangiare lamponi infilandone uno su ciascun dito. Amélie sa che ogni essere umano è una miniera inesauribile di meraviglie: ogni fissazione, tic nervoso, mania è ciò che ci rende unici, mai noiosi. Amélie cerca la diversità, la differenza. Non vuole vivere un’esistenza omologata, in un mondo di cloni, in cui ogni minima “deviazione” è additata come una cattiva abitudine da correggere.
Amélie vuole, prima di tutto, essere felice; e una delle cose che la rende più felice è fare felici gli altri.
Il meraviglioso mondo in cui vive Amélie non è altro che il nostro stesso mondo; non una dimensione particolare della sola protagonista, ma quella in cui noi stessi viviamo ogni giorno, osservata però con uno sguardo diverso. Forse solo con intelligenza.
Il titolo originale (Le fablieau destin d’Amélie Poulain) non trae in inganno: il destino di Amélie è di vivere nel nostro mondo, e renderlo migliore.
Il regista Jean Pierre Jeunet dopo la parentesi dell’ultimo Alien torna allo stile concitato, visionario, irresistibile di “Delicatessen”, il suo primo lavoro. L’originalità parte sin dai titoli di testa; e poi è tutto un susseguirsi di trovate che non sono per niente “manieristiche”, come è stato detto, ma sono perfettamente funzionali alla vicenda e all’incanto che essa punta a creare nello spettatore. Immaginereste un film come Amélie diretto con uno stile piatto, senza gli scossoni che l’ex fumettista Jeunet ci da spesso e volentieri? Vedere Amélie è come salire su una barchetta sballottata dalle onde: bisogna tenersi un po’ saldi, all’inizio, ma poi ci si diverte.
“Il meraviglioso mondo di Amélie” è stato definito stucchevole, buonista, ruffiano, “furbo”. Un film che ammicca allo spettatore, che tenta di ingraziarselo ottenebrandogli la mente con il glucosio.
Il punto è questo: perché i buoni sentimenti, la semplicità devono per forza essere criticati? Forse perché noialtri “infelici abitanti delle città” quando vediamo qualcosa che assomiglia solo vagamente all’ottimismo, a una certa serenità d’animo subito ci mettiamo sulla difensiva. “Cazzate!” sembrano le piccole meraviglie che Amélie scopre nel nostro mondo, un mondo che noi ci limitiamo a calpestare correndo sempre troppo di fretta da qualche parte. Questa sorta di snobismo intellettual-esistenziale porta a considerare un bel film come Amélie una piccola stupidaggine, graziosa e inutile. Non c’è tempo per cercare di essere felici: siamo troppo abituati a non esserlo.
Viene da chiedersi, finita la visione, se non abbia ragione questa ragazza. Se non sia possibile, da subito, dal primo momento che abbiamo dopo avere varcato le porte del cinema, cercare di vivere un po’ meglio, facendo più attenzione alle piccole cose, ai piccoli piaceri. I nostri e quelli degli altri. E se provassimo anche un pochino ad amare? Amare la vita, considerare ogni istante un’esperienza straordinaria. Amélie piace e allo stesso tempo fa storcere il naso ai cosiddetti “intenditori” perché non è altro che un vivacissimo, banalissimo film d’amore, reso però con uno stile tutt’altro che banale. Spiazza perché semplicemente scopre subito le sue carte; noialtri uomini moderni non capiamo tanta sincerità e la accusiamo di volerci arruffianare.
Un film non insegna certo a vivere, ancora meno vuole dare consigli. L’arte può solo colpire la nostra sensibilità, farci riflettere, darci degli spunti. Il concetto di incanto è così largo e personale che forse varrebbe la pena per ognuno di noi di cercare i propri, di incanti. E una volta incontrati, coltivarli. L’incanto dura un secondo, il tempo di un respiro. Ma quell’attimo è capace di riscattare la giornata più grigia.
La piccole meraviglie non vedono l’ora di venire alla luce.
Mio grande sogno da bambino erano certi occhiali a raggi-x in vendita per corrispondenza in fondo ai volumetti di Diabolik; si immagini la mia delusione, dalla quale non mi sono ancora ripreso, quando scoprii che si trattava di colossale panzana.
Amélie guarda il mondo come se avesse lenti a contatto a raggi-x; non per vedere sotto i vestiti degli altri, ma per trovare, sotto la patina di rassegnazione che ricopre i cuori, la voglia di essere felici.
A cura di Mario Bonaldi
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