hideout

cultura dell'immagine e della parola

L’imperator borghese

L’imperator borghese

Che cosa succederebbe se uno degli uomini più orgogliosi e superbi che abbiano mai camminato su questa terra, che ha avuto il comando di regni estesi quanto quelli di Cesare o Alessandro si ritrovasse, d’un tratto, nei panni di un uomo qualunque, incapace di convincere della propria reale identità anche un misero garzone? Se uomo mai è stato pieno di sé, questi è senza dubbio Napoleone Bonaparte: genio militare e politico, e allo stesso tempo bieco tiranno, prototipo dei dittatori del ventesimo secolo. I suoi detrattori gli negarono anche il riconoscimento dell’abilità come stratega; Tolstoj nelle pagine di “Guerra e pace” sostiene che i successi di Napoleone, come i suoi fallimenti, furono frutto dell’inesorabile coincidere degli eventi: l’uomo può poco o nulla contro l’enorme, immane mosaico delle azioni individuali, del caso. Se quel soldato russo, quel giorno, non avesse con un grido risollevato gli animi dei suoi commilitoni forse l’esercito francese non si sarebbe trovato costretto a ritornare rovinosamente sui propri passi, lungo le pianure, ormai gelate, della terra russa.
Napoleone con il suo Codice del 1804 ha gettato le basi per la nascita dello stato moderno, della moderna pubblica amministrazione. Si può forse non credere al suo genio; ma è difficile resistere al fascino che questo piccolo uomo emana. Forse tutti, anche contraddicendo le nostre convinzioni, teniamo come Julien Sorel, protagonista de “Il rosso e il nero” di Stendhal, il suo ritratto sotto il materasso.
Chateaubriand, quando scrisse il violento pamphlet antinapoleonico “Di Buonaparte e dei Borboni” nel 1814, non poteva certo prevedere che l’uomo che lui investì di un tale torrente d’odio sarebbe divenuto, due secoli dopo, una figura sempre più affascinante e mitizzata. Probabilmente il povero Francois René dovrà ancora rivoltarsi nella tomba per molto, molto tempo.
Guardando “I vestiti nuovi dell’imperatore”, l’immagine di Napoleone che riceviamo è quella, tutto sommato, di un individuo quasi simpatico. Forse per l’ironia con cui Ian Holm, il protagonista, presenta fin da subito il suo personaggio, in esilio a Sant’Elena, in gran dispetto col mondo per l’oltraggio subito. L’uomo che era stato sul punto di tenere in pugno l’Europa (e quindi il pianeta) si trova ora confinato su di un’isola selvaggia, costretto a subire l’umiliazione di essere controllato, spiato costantemente da soldati inglesi. Naturale quindi che egli non si dia pace, che non si rassegni: la Francia, il mondo devono avere di nuovo la loro guida. Si trova così un marinaio, fisicamente identico a Napoleone; quest’ultimo si imbarca in incognito su di una nave che lo ricondurrà sul continente, e di lì a Parigi, dove il popolo adorante lo ricollocherà, come egli dà per scontato, sul trono. Il sosia resterà invece sull’isola, continuando a svolgere la noiosa vita dell’esule. Questa la premessa; le cose non andranno precisamente in questo modo: Napoleone Bonaparte si ritroverà, sempre in attesa di riprendere il potere, a svolgere un’attività commerciale: diventerà un fruttivendolo. Il sosia, trovatosi a vivere nel lusso, ci prenderà gusto.
Napoleone diventa dunque un borghese, ma saprà mostrare le sue doti di stratega organizzando da vero manager la nuova attività dalla quale, suo malgrado, deve trarre di che vivere. L’uomo qualunque può quindi, nel suo piccolo, essere un grande uomo, può diventare un eroe? Il film sembra suggerire questo; a capo di un impero come di una famiglia o un’attività commerciale, ognuno di noi può diventare “superiore” agli occhi di qualcuno. Napoleone capirà tutto questo, decidendo di passare a “miglior vita”… Il vecchio Bonaparte morirà, ma ne nascerà un altro non meno “grande”, anche se tale per una persona soltanto.
Del resto non ci sono alternative: o accettare questo o impazzire; e spacciarsi per Napoleone è probabilmente il modo più veloce per finire al manicomio: quelli di Parigi sono già nel 1821 pieni di uomini che sciabattano tenendo una mano sul petto, infilata tra i bottoni della giacca, e l’altra dietro la schiena, col pugno serrato.
Nel suo ricalcare i propri passi, sulla strada che dalle Fiandre, dove è sbarcato, lo ricondurrà a Parigi, Napoleone passa per Waterloo, luogo simbolo della sua sconfitta. Qui l’ex imperatore scorge i primi segnali di ciò che comprenderà meglio solo in seguito: ciò che è stato non potrà ripetersi. Le sue imprese leggendarie sono già entrate nella memoria collettiva; riportarle in vita è un’operazione senza significato. Waterloo è ormai meta di gita domenicali, Napoleone stesso è diventato personaggio da oggettistica per turisti, da souvenir. Quando una venditrice gli mostra un pupazzetto raffigurante lui stesso nell’atto di salire una scala, e precipitare da essa rovinosamente per avere voluto spingersi troppo in alto, egli ha una piccola anticipazione di ciò che il tempo ha in serbo per chi ha voluto elevarsi al di sopra del gregge degli uomini: lo svuotamento di ogni originario significato, il trasformarsi in un inutile simulacro, un Che Guevara da maglietta. Tolstoj aveva ragione: Napoleone, come ogni altro cosiddetto “grande uomo”, fu solo una comparsa, illusa di avere un qualche ruolo di valore; gli eventi si sono invece svolti secondo l’unica logica possibile, quella del Caso. Niente e nessuno può modificare la congiuntura che si viene a creare: anche se crediamo libero un nostro atto, esso è invece frutto unicamente di ciò che si è venuto a creare. Quell’atto siamo quindi costretti
a compierlo.
Lasciare scorrere gli eventi, assecondarli, adattare il proprio comportamento al multiforme, palpitante insieme delle coincidenze è il vero segreto della vittoria: in “Guerra e pace” il generale Kutuzov sconfigge l’esercito di Napoleone senza prendere nemmeno un’iniziativa. E’ andata davvero così la Storia?
Il Napoleone borghese del film di Alan Taylor nel suo piccolo “vince” proprio perché capisce che colui il quale decide di sfidare la valanga degli avvenimenti umani è destinato a essere spazzato via.
Ogni particella di neve è contro di lui; non gli resta che accettare di essere lui stesso una di esse, e lasciarsi travolgere.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»