Esercizi di stile: la marca essenziale
Definizione. La marca essenziale, anche detta marca-prodotto, rigetta gli orpelli della comunicazione seduttiva e promuove un back to basis definitivo. La marca essenziale è costruita sul solo prodotto, di cui promuove funzionalità e performanza. Siamo nel regime che Floch definisce “rappresentazionale”: lungi dalla frenesia connotativa, ci si limita a denotare la realtà, a rappresentarla così come essa è. In ossequio ad una totale mimesi del reale, l’approccio comunicativo si fonda sulla schiettezza e sulla trasparenza.
Primo esempio: Samsung. Visual che consta unicamente del prodotto (grande fotografia dello schermo Lcd), che stacca per colore su uno sfondo neutro e privo di figure. Il claim non può essere più diretto: enuncia senza divagazioni gli obiettivi, ovvero il design di prodotto e la performance. La body copy descrive i tratti funzionali del prodotto, le cui prestazioni tecniche sono riassunte con estrema sintesi nelle icone presenti a fondo pagina.
Secondo esempio: Mentadent. Suddivisione esemplare della pagina informativa, ¾ sono dedicati al visual, ¼ alla body copy che descrive le caratteristiche di prodotto. Il prodotto –protagonista totale- ribadisce con la sua “azione illuminante” quanto espresso nel claim (e, qualora non fossimo rassicurati dall’azione sbiancante del dentrificio, delle “stelline” lucenti ribadiscono il concetto, già espresso dal fascio di luce che il tubo emana e dall’esplicazione del claim). La persona ritratta è insignificante: viene messa in ombra ad eccezione del sorriso, target della comunicazione in quanto sede di azione del prodotto.
Terzo esempio: Cannamela. Essenziale all’ennesima potenza: si coglie la sostanza del prodotto, si sente il profumo aromatico della carne cotta e condita al crudo con il pepe nero. Il visual non poteva essere più esplicativo (la carne è esposta, priva di cellophane, pronta al consumo), il pepe si erge in primo piano, impettito e composto come un soldato allineato per la rivista. I grani di pepe che si snodano dal vasetto alla carne mostrano in modo pedissequo il legame alla funzionalità del prodotto.
Osservazioni. Il mondo odierno liberalizza l’immagine e ne fa Lo Scopo Ultimo. L’unica modalità dell’ “esserci” è apparire. E per lo show biz -vedi la tv o le riviste di gossip- e per la persone normali –vedi i blog ed i milioni di accessi ed upload nei siti di user generated content. Paradossalmente, proprio in questo frangente torna attuale una delle dimensioni del narrare più snobbate nelle ultime decadi: la descrizione del reale senza divagazioni, senza abbellimenti. Le origini del fenomeno possono rintracciarsi nell’esigenza – legittima – del consumatore di essere valutato come interlocutore competente, che ha diritto alla trasparenza, che chiede qualità. Come opporsi? Dato lo scenario di empowerment del consumatore, il rischio è tutto per le aziende: il pubblico ha i numeri e i mezzi –in primis, internet- per sbugiardare prodotti e strategie. Da un lato, quindi, la necessità di una dieta dopo-sbornia per archiviare gli ultimi 20 anni del Novecento (tutto miti, luci e divismo); dall’altro, la volontà di tornare a parlare chiaro e forte non “di valori”, ma “dei valori”: qualità, performanza, funzionalità di prodotto. Nell’ottica aziendale, tuttavia, i brand essenziali sono i più difficili da sostenere: come parlare in modo franco e diretto di performance e qualità se non si è leader di mercato o si possiede un forte posizionamento? Samsung, Cannamela e Mentadent hanno fatto un passo avanti, certi delle loro credenziali. Fantastico schermo, ottimo aroma speziato e denti certamente candidi, ma essere essenziali non significa essere reticenti. Le tre pagine mi sembrano piuttosto deboli e, personalmente, credo che rimanendo nel solco dell’essenzialità, si sarebbe potuto fare di meglio.
A cura di Stefania Novarini
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