Torino Film Festival
Diario 2010, Giorno 7
Eravamo davvero curiosi di vedere Henry, unico film italiano in concorso per il Torino Film Festival. Lo eravamo perchè i presupposti per un buon film c’erano tutti e perchè lo stesso regista, Alessandro Piva, in questi giorni ha rincarato la dose di accuse a un cinema italiano che “non ha accettato” il suo film, sia in fase di produzione (“ho dovuto quasi produrlo da me”) sia nella successiva fase di distribuzione (per ora nessuno si è fatto avanti per distribuirlo). Dunque, con queste aspettative, abbiamo visto questo Henry. Il film è la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Giovanni Mastrangelo, un vero e proprio noir ambientato in un Roma atipica ed irriconoscibile, attraversata da una contaminazione di etnie diverse ed immersa in una trucida guerra fra trafficanti di droga. A impreziosire la narrazione sono gli altrettanto atipici protagonisti che la popolano, fra tutti un commissario di polizia (Claudio Gioé) progressista e pessimista, sposato con una francese e che ascolta musica ambient: lontano anni luce dall’archetipo del Monezza cui eravamo abituati. In coppia con un tradizionalista e corrotto collega (Paolo Sassanelli), i due, durante le indagini su un omicidio legato al mondo della droga, scopriranno una guerra intestina fra criminalità organizzata italiana e quella emergente di matrice africana per il monopolio sullo spaccio di Henry, cioè dell’eroina. Una struttura dunque a tratti innovativa e che si approccia dal basso a una città come Roma, alle problematiche legate all’integrazione razziale e a quelle legate alla droga, dove è difficile distinguere fra “buoni” e “cattivi”, ma anzi, si calca la mano su quella paradossalità esistenziale e sociale di cui è intriso lo stesso libro di Mastrangelo. Alla fine però, nonostante le tutte le ottime ambizioni di reinventare un genere e di legarlo al costume italiano (come in molti altri suoi film anche qui c’è molta pugliesità), Piva non riesce a convincerci affatto. Henry alla fine ci sembrerà dispersivo, troppo giocato sulla caratterizzazione introspettiva dei suoi personaggi e privo di quell’identità strutturale ed appassionata del classico noir o del drug-movie. Il regista non tiene il ritmo, lo spezza volontariamente, lo infarcisce di inserti anche ironici e piacevoli, ma che nel complesso mozzano la narrazione fino ad un finale poco credibile e convincente. Quasi macchiettistico. Henry in conclusione delude, perchè è un tentativo cinematografico eversivo che non fa centro, e invece quasi se lo meriterebbe visto il coraggio di discostarsi dalla vulgata generale a cui siamo abituati. Invece, un non ben identificato piombo nelle ali lo fa sembrare davvero poca cosa anche rispetto ad alcuni recenti tentativi simili del cinema italiano (Una vita tranquilla o la stessa La doppia ora).
La bella sorpresa della giornata è stata invece la proiezione in anteprima di Super (onore toccato per adesso solo al Toronto Film Festival), commedia supereroistica prodotta a basso budget e diretta da James Gunn. Un cast davvero fenomenale (Rainn Wilson, Liv Tyler, Kevin Bacon ed Ellen Page) per una storia bislacca ed esilarante di un supereore per caso. La goffa e grottesca figura di Crimson Bolt, paladino nato dalla fantasia del protagonista (interpretato da Rainn Wilson) travolge tutto e tutti a colpi di un humor grottesco e paradossale, dove l’epica lotta tipica dell’universo fumettistIco fra “il bene” e “il male” è volutamente portata all’eccesso, moralmente e materialmente (le aggressione “salvifiche” di Crimson Bolt, ad esempio, sfociano spesso nello puro stile splatter da B-movie). Con un’incredibile interpretazione, fra gli altri, di Ellen Page (la sua versione di “assistente” invasata è davvero una delle cose più straripanti del film) l’opera di Gunn è impreziosita da una svolta finale emotiva ed evocativa a cui è difficile non regalare un sorriso sognante. In definitiva Super, ne siamo certi, farà parlare di se, nonostante sia, a tratti, un deja-vù del seminale Kick Ass. La sua data di uscita è prevista per il 1/4/2011. Pesce d’Aprile permettendo.
Sempre per la sezione Festa Mobile è da segnlare il buon film di Bernard Rose con Rhys Ifans e Chloë Sevigny, Mr Nice, biopic di Howard Marks, un professore di Oxford che in pochi anni si trasformò in uno dei più grandi spacciatori di erba al mondo fino a diventare la persona più ricercata della Gran Bretagna. Il film, che si apre con il protagonista sopra il palco di un teatro (qui ci ha ricordato il Bronson di Refn) fa uso di uno stile personalissimo (ad esempio l’ibrido iniziale fra il bianco e nero e i colori) per raccontare una storia incredibile, molto vicina a quella che molti già conoscono di Blow. Qui la svolta ci pare però molto più intrisa di amarezza, a tratti drammatica, dove la scalata alla conquista dello spaccio di droga è inserita più in un contesto quasi geopolitico (non mancheranno riferimenti ai servizi segreti inglesi nè all’IRA irlandese) e dove l’aspetto dei rapporti familiari del protagonista durante i suoi problemi con la giustizia assume un ruolo di primo piano.
A cura di Daniele Lombardi
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