Leafie – La storia di un amore: Una mamma-coraggio vestita di piume
La visione di Leafie – La storia di un amore suscita due domande immediate e spontanee sul perché, in Italia, spesso si traducano i nomi dei personaggi dei film animati orientali con nomi in inglese (accondiscendendo così alla pigrizia degli spettatori nostrani, incapaci di accostarsi e di apprezzare la sonorità di altre lingue) e sul perché si banalizzino in modo così spietato i titoli originali dei film che, in questo caso, si sarebbe dovuto tradurre con Leafie – Una gallina in libertà e che meglio avrebbe espresso lo spirito del film diretto da Oh Seongyn.
Perché è vero che l’amore materno è il sentimento che spinge questa gallinella a prendersi cura di un anatroccolo e a vivere con lui nei pressi di un lago, ambiente estraneo e ostile alla sua natura, ed è vero che è l’amore a portare Leafie all’estremo significato dell’essere madre (madre dei cuccioli della sua nemica, una donnola sanguinaria; madre sino all’annullamento di se stessa), ma è la libertà la vera forza indomita che permette a Leafie di poter lasciare la squallida fattoria in cui era tenuta prigioniera per non essere più schiava; è la libertà ciò che le consente di poter trovare la sua dimensione. È la libertà che le consente di vivere e di scegliere, volutamente, di morire. Le tematiche trattate in questo film d’animazione coreano sembrano esser degne di un melodramma e davvero questo esile personaggio, pur non essendo altro che una piccola gallina, ricorda certe forti figure materne della letteratura e del cinema. Ed è proprio qui che risiede la carica espressiva di Leafie, ovvero nell’essere un film d’animazione che, pur essendo nello stile un ibrido tra anime nipponici, film d’animazione di ascendenza disneyana e raffinate illustrazioni anni cinquanta (soprattutto negli sfondi, davvero notevoli), riesce ad infondere ai suoi personaggi quell’intensità espressiva, quella carica nello sguardo e nei gesti che avrebbero potuto infondere loro attori in carne e ossa. E non si è troppo vecchi per commuoversi di fronte a questa creaturina che cova un uovo non suo, accudisce un figlio non suo; né si è troppo vecchi per rimanere con il fiato sospeso di fronte all’incontro/scontro tra due madri, nemiche per natura, che per un attimo riescono ad incontrarsi e a comprendersi, proprio in virtù del loro essere entrambe spietate con loro stesse per far sopravvivere i rispettivi figli.
Qualcuno potrebbe obiettare che i temi trattati in questo film siano ben più adatti a un pubblico “adulto”, piuttosto che a dei bambini, ma questo significherebbe snaturare la natura del cinema d’animazione in primis (che è innanzitutto cinema e arte e non una mera fonte di intrattenimento per i pargoli) e, in secondo luogo, ciò significherebbe snaturare il vero significato della fiaba. Che sin dalle sue origini contemplava per i suoi eroi la possibilità di soffrire e morire e lasciava che di questo i bambini fossero consapevoli, perché ciò era fondamentale nel loro percorso di incontro con il mondo.
Curiosità
Il film ha vinto, durante gli Asia Pacific Screen Awards, il premio come miglior film d’animazione.
A cura di Saba Ercole
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