Paradiso amaro: lontano dal paradiso
«I miei amici credono che, solo perché abito alle Hawaii, io viva in paradiso». La vita di Matt King è tutt’altro che semplice invece. Nel suo personaggio protagonista evidentemente si specchia Alexander Payne, tornato a dirigere un lungometraggio dopo sette anni, periodo caratterizzato da diversi problemi personali, soprattutto familiari. La famiglia è il nucleo centrale del film, come suggerisce il titolo originale The Descendants. La famiglia è come una penisola, dice ad un certo punto Matt King: tante individualità collegate in qualche modo ma che non comunicano.
Matt si è autoproclamato genitore di riserva, troppo impegnato a seguire gli affari per accorgersi delle conflittualità che emergono in casa; la moglie Elizabeth, ricca viziata e annoiata, ha deciso di lasciare marito e figlie per stare con un altro uomo; la figlia maggiore Alexandra è problematica come tutte le teenager, ostile alla madre fedifraga e insofferente verso il padre impacciato; la figlia minore Scottie coltiva il proprio ingenuo approccio al mondo, senza rendersi conto dei drammi che si svolgono intorno a lei. La famiglia quindi come terreno di scontro, ma anche come unico punto di ripartenza, di ricostruzione di un futuro quanto meno accettabile malgrado tutte le difficoltà, le sofferenze e le incomprensioni che la vita di tutti i giorni può regalare. Prendendo spunto dal romanzo di Kaui Hart Hemmings, Alexander Payne costruisce una storia che aderisce perfettamente ai canoni del suo cinema. Paradiso amaro è quindi un film drammatico in cui si innestano elementi da commedia che non sono mai fuori luogo o stonati, ma anzi si integrano alla perfezione. Il film di Alexander Payne è altero rispetto ad un cinema del dolore che cerca la lacrima facile o il sentimentalismo ricattatorio, ma risulta genuino proprio perché scandaglia la complessità e varietà delle reazioni dell’animo umano di fronte alla tragicità dell’esistenza.
Paradiso amaro, inoltre, conferma ancora una volta la grande abilità di direzione attoriale di Alexander Payne. George Clooney è bravissimo nel tratteggiare un personaggio ferito che si trascina stancamente nella vita di tutti i giorni, sofferente e silente ma non per questo meno determinato a risollevarsi dopo ogni caduta. Un antieroe affiancato dalla figlia maggiore Alexandra, interpretata ottimamente dalla rivelazione Shailene Woodley, magistrale nel ruolo della ragazza problematica e ferita dai genitori (seppure in maniera diversa), capace di mostrare tutta la propria maturità nel momento del bisogno.
Curiosità
Il film è stato nominato a 5 Oscar (Miglior film, miglior regista, miglior sceneggiatura non originale, miglior attore protagonista, miglior montaggio) e ha ottenuto 2 Golden Globe per il miglior film drammatico e il miglior attore in un film drammatico, andato a George Clooney, già vincitore nel 2006 per Syriana e nel 2001 per Fratello, dove sei?
A cura di Marco Valerio
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