Matti, stregatti e cose impossibili in cui credere
«I migliori sono sempre un po’ matti» si dice nell’Alice in Wonderland firmata Tim Burton. Difficile non associare il concetto al nuovo papà della bionda visitatrice del luogo incantato descritto nei libri di Lewis Carroll. Il tessitore delle fiabe più belle e strane degli ultimi anni si cimenta con un “mostro” sacro, riempiendolo di mostri. Si comincia così da un’Alice ventenne che scappa via da un matrimonio combinato con un lord dalla digestione complicata e arriva alla fine a sfidare un Ciciarampa per decidere il destino del Paese delle Meraviglie. Insomma pane per i denti di Burton, che decide di inzupparlo in una salsa gothic-fantasy offrendoci visioni tridimensionali che sembrano imbevute di LSD. Gli abiti e i paesaggi sono vere e proprie opere d’arte a sé stanti. E non è un caso che il Moma abbia dedicato una mostra al regista di Burbank.
La corsa di Alice cita, riprende e stravolge l’immaginario che la Disney aveva creato con il cartone animato degli anni Cinquanta. Stavolta sullo schermo si sposano attori in carne e ossa e una meravigliosa overdose di computer graphic. La squadra di Burton è sempre una garanzia, ma in maniera quasi sorprendente sono le donne ad essere le regine, riuscendo addirittura a far passare in secondo piano un Johnny Depp versione Cappellaio Matto. Mia Wasikowska mixa dolcezza e “moltezza”. Helena Bonham Carter si deforma in maniera straordinaria nella Regina Rossa. Anne Hathaway cucina E poi ci sono le creature magiche: suadenti stregatti, lepri psicopatiche, animali che sembrano un incrocio tra una iena e un ippopotamo. Alice combina tutto questo con un ritmo elevatissimo, i tradizionali giochi di parole e la capacità di divertire e “ringiovanire” il pubblico. Andando al cinema a vedere i film della famiglia Burton, infatti, ormai sembra di essere nei panni dei veri figli di Tim e Helena che, alla sera, attendono la favola da mamma e papà.
Resta un dubbio: questa Alice avrà tratto maggior giovamento dai grandi mezzi offerti dalla Disney oppure avranno pesato di più i “limiti” imposti dalla politica aziendale della major? In questa sorta di sequel (più vicina quindi ad “Attraverso lo specchio” di Carroll) infatti Alice è più grande rispetto al cartoon di Walt e chissà che non ci si potesse spingere ancora più in là, affrontando i temi della perdita dell’innocenza in maniera più decisa. Una cosa è certa. Uscendo dal cinema sarà difficile, guardando quello spicchio di luna che c’è in cielo, non pensare che possa essere davvero il sorriso dello Stregatto.
Curiosità
In Cornovaglia, da marzo a ottobre 2010, è possibile visitare la Antony House, dove Tim Burton ha girato il film. La casa è infatti diventata un museo con spettacoli a tema.
A cura di Claudio Garioni
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